Un nuovo, duro martellamento di decine di domande: a volte inevitabili, a volte forse superflue, a volte crudeli. «Ci può spiegare come le sono stati tolti gli slip?». «Come mai non ha reagito con un morso durante il rapporto orale?».
Tutte, dalla prima all’ultima, con l’obiettivo di convincere i giudici a non crederle. Di dimostrare che lei, Silvia, studentessa italo-norvegese, si è semplicemente pentita di avere trascorso una notte di sesso in allegria con Ciro Grillo (nella foto), figlio di Beppe, e con i suoi tre amici; e che quando ha raccontato di essere stata stuprata a ripetizione ha mentito. Forse persino a se stessa.
Sono le regole implacabili del processo penale. Ieri Silvia affronta per il terzo giorno il controinterrogatorio dei difensori degli imputati. Nelle prime udienze era stato il pubblico ministero Gregorio Capasso a fare le domande: domande precise, dettagliate, che hanno riportato la ragazza alle ore di quattro anni fa, nella villa di Beppe Grillo in Costa Smeralda. Ma il procuratore Capasso le crede, e così nelle sue domande non c’erano insidie, non c’era la caccia alle contraddizioni vere o presunte. Invece adesso tocca ai legali dei quattro. L’8 novembre le domande si erano fermate alle ore del pomeriggio e della sera, quando Silvia arriva in Costa Smeralda insieme alla sua amica Roberta, e inizia a fare il giro dei locali alla moda, fino a incontrare Grillo e gli altri al Billionaire. E già allora si era capito che per Silvia sarebbe stata dura, tanto da far dire al suo legale, Giulia Bongionrno, «è come se la persona offesa improvvisamente fosse sul banco degli imputati».
Ieri arriva la parte più tosta, la ricostruzione delle ore a casa Grillo, quelle culminate nei rapporti sessuali a rotazione con i quattro ragazzi. Rapporti, dice Silvia, avvenuti quando lei era ormai in balìa dei quattro, dopo che era stata costretta a tracannare mezza bottiglia di vodka. Comincia una donna, Antonella Cuccureddu, difensore di Francesco Corsiglia. Non le fa sconti. E sotto l’incalzare delle domande, Silvia scoppia a piangere. Il giudice Marco Contu, che l’altra volta aveva sospeso l’udienza per darle il tempo di riprendersi, stavolta decide che si va avanti. Ed è Silvia stessa a non tirarsi indietro, a non chiedere pause. D’altronde aveva una strada semplice per evitarlo, accettare la proposta dei difensori degli imputati di acquisire i verbali degli interrogatori. Ma in quel modo le difese avrebbero avuto gioco più facile nel dare la caccia alla contraddizione. Solo presentandosi personalmente in tribunale, ripetendo in aula il suo racconto, poteva sperare di essere creduta. Così ieri, dopo una lunga attesa per un guasto all’impianto audio, Silvia torna a sedersi sulla sedia dei testimoni. Sa che forse la attende una prova particolarmente dura, perché le difese vogliono che sia proiettato in aula il video girato col telefono di uno dei ragazzi. É un video di una ventina di secondi, che secondo la difesa di Silvia non aggiunge e non toglie nulla al processo: perché conferma il rapporto, ma non aiuta in nulla a sciogliere il nodo cruciale, ovvero la consapevolezza della giovane, il suo grado di lucidità, la sua capacità di opporsi. Silvia quel video non ha mai voluto guardarlo. Ma forse oggi, alla ripresa dell’udienza, le toccherà rivedersi nei minuti peggiori della sua vita.