Una donna di 73 anni, Fiorenza Rancilio, è stata trovata senza vita nel suo appartamento al civico 6 di via Crocefisso, in pieno centro a Milano, nella tarda mattinata di mercoledì 13 dicembre. La vittima presenta una vistosa ferita alla testa. Sul posto intervenuti il pm di turno Ilaria Perinu e gli specialisti della sezione Rilievi del nucleo investigativo dei carabinieri per un primo sopralluogo nell’abitazione.
Fermato il figlio
Stando a quanto apprende dall’Ansa, la porta d’ingresso dell’appartamento era chiusa a chiave dall’interno. In casa, al momento del ritrovamento del cadavere, ci sarebbe stato il figlio 35enne della donna. Il giovane, trovato in stato di forte choc per l’assunzione di psicofarmaci, è stato trasportato in ospedale. In serata i carabinieri della Compagnia Duomo hanno sottoposto a fermo di polizia giudiziaria. Secondo le forze dell’ordine il 37enne sarebbe il “responsabile dell’omicidio”. L’uomo al momento resta ricoverato al Policlinico di Milano dove è piantonato in stato di fermo.
“La porta era chiusa a chiave”
Ad allertare i carabinieri sarebbe stata la collaboratrice domestica di Rancilio. “Mia moglie voleva entrare prima delle 8.30 ma era tutto chiuso. – spiega il marito della donna all’Adnkronos – Ha provato dall’altro ingresso, su corso Italia, ma anche da quella parte era tutto chiuso“. A quel punto la signora è andata a chiedere aiuto ai dipendenti della società immobiliare di cui la 73enne era co-proprietaria e che si trova nello stesso condominio dove si è consumata la tragedia. “Sono riusciti a entrare nell’appartamento e hanno trovato la dottoressa morta in salotto. – racconta ancora l’uomo – Il figlio era accanto a lei“.
Il sequestro di Augusto Rancilio
Fiorenza Rancilio era l’erede di una nota famiglia di imprenditori che opera nel settore immobiliare. La donna è stata anche presidente della fondazione “Augusto Rancilio”, intolata a suo fratello. La mattina del 2 ottobre 1978, l’allora 26enne Augusto fu aggredito e rapito dall’Anonima sequestri mentre stava entrando in un cantiere a Cesano Boscone (Milano) assieme al padre, Gervaso Rancilio. I due furono circondati da un commando di 8 persone: il giovane fu caricato su un furgone e di lui non si seppe più nulla. Negli anni ’90, l’ex boss della ‘ndragheta Salvatore Morabito cominciò a collaborare con la giustizia rivelando i retroscena di omicidi e sequestri avvenuti negli anni ’70. L’uomo raccontò che Augusto era stato ucciso dai suoi carcerieri durante un tentivo di fuga. Ma le spoglie del giovane architetto non sono mai state ritrovate.
La Fondazione
“Su quanto successo non abbiamo nulla da dichiarare“, rispondono così all’Agi dall’associazione “Augusto Rancilio”. La Fondazione ha sede nella villa Arconati, una delle dimore più maestose nell’hinterland milanese, costruita nel 1600, che si trova a Bollate. Ad oggi, fa sapere l’ente, è Cesare Rancilio (fratello della vittima) a rivestire l’incarico di presidente.
Figlio contessa Alberica Filo della Torre: “No a caso mediatico”
Sulla tragica vicenda si è espresso anche Manfredi Mattei, figlio della contessa Alberica Filo della Torre uccisa il 10 luglio 1991 nella sua villa all’Olgiata dal domestico Manuel Winston Reyes. “Trentadue anni fa mia madre venne trovata senza vita in una camera chiusa a chiave dalla cameriera. Oggi, Fiorenza Rancilio è stata trovata nella sua casa dalla domestica, riuscita a farsi aprire dopo un primo tentativo andato a vuoto la mattina. – ha detto Mattei – Mi sembra un copione già letto. Sono sempre situazioni molto complesse ma dove sicuramente oggi, se le indagini vengono svolte in maniera accurata ed assennata, probabilmente le prove si riescono a trovare e si riescono a individuare celermente i responsabili“.
L’assassino della madre fu incastrato grazie all’esame del Dna, a 20 anni dal delitto: “Se si seguono percorsi basati su indagini fatte come la buona diligenza vuole, i casi si risolvono – ha proseguito il figlio della contessa – se devono diventare dei casi mediatici, tragicamente accadrà che ci costruiranno sopra un mare di storie. Mi auguro non accadrà per la famiglia, perché doversi scontrare con la macchina mediatica che travolge una vicenda del genere e influenza quella giudiziale è sempre molto brutto. Come avvenuto nel nostro caso dove mio padre, Pietro Mattei, ha dovuto combattere 20 anni per individuare un responsabile, con prove certe che erano sul tavolo degli inquirenti“