L’inflazione resta un nervo scoperto per i mercati. Ieri è bastato l’annuncio che a novembre i prezzi al consumo sono aumentati negli Usa dello 0,1% rispetto al mese precedente, contro attese per un dato invariato, attestandosi così al 3,1% annuale (consensus al 3%), per mettere sul chi va là Wall Street (+0,3% a un’ora dalla chiusura) e rompere in Europa la luna di miele col rialzo (-0,28% Piazza Affari, -0,98% lo Stoxx600). Ma è soprattutto la risalita delle quotazioni dei T-bond che indica come la minore decelerazione del carovita può impattare sulle scelte future della Federal Reserve.
Gli interrogativi non riguardano infatti la riunione di oggi, destinata a concludersi con un nulla di fatto sui tassi (al 5,25-5,50%), ma il percorso che verrà intrapreso nel 2024. Se secondo il Cme FedWatch Tool la possibilità di un taglio dei tassi già in marzo è salita dal 38,4% di lunedì al 50,4%, altre ipotesi sono più caute e collocano il calo in maggio. L’andamento del carovita ha però smorzato un po’ le aspettative circa una robusta e rapida inversione di marcia della politica monetaria. Il capo di Eccles Building, Jerome Powell (nella foto), dovrebbe annunciare nella conferenza stampa odierna che con l’undicesima stretta si è conclusa la stagione, iniziata nel marzo ’22, dei restringimenti al costo del denaro. Non è però pacifico che si spinga oltre: difficile che la Fed voglia già ora firmare cambiali in bianco, anche perché resta da domare l’inflazione core (quella che esclude cibo ed energia), attestata al 4 per cento. Il calo del prezzo dei carburanti e della benzina in particolare (-6%) è comunque una bella boccata d’ossigeno, in chiave elettorale, per Joe Biden. «Il rapporto di oggi (ieri, ndr) – sottolinea il presidente Usa – dimostra i continui progressi nel ridurre l’inflazione e ridurre i costi per le famiglie americane. L’inflazione è ora in calo di quasi due terzi rispetto al suo picco mentre la disoccupazione è rimasta al di sotto del 4 percento».
Domani toccherà invece alla Bce pronunciarsi, seppur sia scontato che i tassi resteranno invariati al 4,5 per cento. I recenti commenti della presidente Christine Lagarde, in direzione contraria rispetto a quanto sostenuto solo poche settimane fa, sembrano indicare come prossima la svolta che metterà fine alla postura rigida mantenuta dall’Eurotower dal luglio ’22. Un’inflazione al 2,4%, non molto distante dal target di riferimento del 2%, e i forti segnali di indebolimento congiunturale hanno convinto i mercati che l’anno prossimo saranno ben cinque le sforbiciate al costo del denaro. Sempre che il miglioramento in Germania dell’indice Zew, salito in dicembre a 12,8 dai 9,8 punti di novembre, non offra il destro ai falchi di Francoforte per puntare di nuovo i piedi e ribadire che l’inflazione, benché in ritirata, costituisce ancora una minaccia.