Per prime erano state le incongruenze e le contraddizioni nel racconto, poi i tasselli dell’indagine hanno mano a mano ricostruito un quadro più preciso di quello che inizialmente era passato per un suicidio e con i mesi ha portato invece al sospetto di un presunto un femminicidio. Di queste accuse dovrà rispondere Ahmed Mustak, 44 anni originario del Bangladesh, arrestato a Genova dai carabinieri in esecuzione di una misura cautelare nell’ambito delle indagini sulla morte della moglie, Sharmin Sultana, 32enne trovata senza vita nel cortile sotto casa nel quartiere di Sestri Ponente.
Il corpo della donna, madre di due figli di 9 e 7 anni, era stato ritrovato lo scorso 7 marzo riverso a terra proprio sotto la finestra dell’appartamento dopo una caduta da circa 8 metri. Ma fin da subito qualcosa ha insospettito gli inquirenti: una ferita alla testa sul corpo della vittima meritevole di accertamenti e poi i racconti fatti da conoscenti della donna sulla natura del rapporto con il marito, un quadro che ha richiesto un supplemento di indagine sfociato in queste ore nell’arresto dell’uomo. Dall’inchiesta emerge un contesto di prevaricazioni e vessazioni che negli ultimi mesi avevano reso insostenibile la vita della vittima, continuamente sottoposta a violenze e controlli, a partire dall’uso del cellulare e dei social.
Nell’inchiesta, coordinata dal pm Marcello Maresca, determinanti gli elementi raccolti, tra questi le audizioni protette dei due bambini, che il padre ha tentato di plagiare, ma anche le contraddizioni emerse dalle parole dell’uomo e poi le testimonianze nelle quali la donna aveva raccontato il rapporto con il marito, sempre più teso. Un uomo geloso, controllante, del quale aveva paura, come si evince dai messaggi che la donna si scambiava con alcuni conoscenti, tutti fuori Italia, via Facebook o Tik Tok, quell’utilizzo dei social mal digerito dal marito geloso che la costringeva a scrivere di nascosto, per evitare liti e insulti. Una delle persone con cui Sharmin Sultana si sfogava aveva anche contattato il Centro antiviolenza di via Mascherona a Genova, raccontando la paura della donna e di non credere al suicidio di una ragazza che conosceva da anni come solare e piena di vita. Il marito si contraddice: prima sostiene che al mattino fosse uscita per «andare a camminare» poi di non essersi accorto di nulla perché dormiva. Dei due bambini, ascoltati con il supporto degli psicologi e che il padre tenta di «indirizzare» raccomandandosi di «non dire niente», è il più grande a raccontare la lite in casa di quella mattina, il papà che si arrabbia perché la mamma ha il cellulare in mano. Poi la caduta e il sangue. A incastrarlo, secondo l’accusa, sarebbe stato anche un disegno del bambino.