A parole la vittoria è ad un passo. «Abbiamo circondato le ultime roccaforti di Hamas a Jabaliya e Shejaiya. I battaglioni che si dicevano pronti a combatterci per anni stanno per venir smantellati», dichiarava ieri il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. Parole confermate dal capo di stato maggiore generale Herzi Halevi secondo il quale «la rete di Hamas si sta disfacendo». Nei fatti però le due condizioni essenziali per la vittoria israeliana non sono così vicine. Le due condizioni, più volte enunciate, prevedono la liberazione dei 130-140 ostaggi e l’eliminazione di Yaha Sinwar, numero uno di Hamas a Gaza, e del comandante dell’ala militare Mohamed Deif. Ma fin qui, a parte un caso, solo la trattativa con i capi di Hamas a Gaza, tramite il Qatar, ha garantito la liberazione degli ostaggi. Dunque eliminando Sinwar o Deif Israele rischia di precludersi la possibilità di salvare i connazionali rapiti. Trattandone la liberazione rischia, invece, di rallentare le operazioni per conseguire il controllo della Striscia, la distruzione dei tunnel e l’eliminazione dei vertici di Hamas.
Il rallentamento delle operazioni non è un problema da poco. A oltre 40 giorni dall’inizio dell’operazione di terra Tsahal non ha ancora il pieno controllo del nord di Gaza. Lì – nonostante l’evacuazione di quasi un milione e mezzo di palestinesi – si combatte ancora, come ammette il ministro Gallant, per il controllo del campo profughi di Jabaliya e del quartiere di Shejaiya a est di Gaza City. Nel centro della Striscia le operazioni non sono neppure iniziate. A sud – nonostante l’avanzata su Khan Younis e l’eliminazione di un comandante di brigata e di tre comandanti di battaglione di Hamas – le forze d’elite della 98ª Brigata israeliana devono ancora acquisire il controllo dei centri di comando nemici. Ad oggi Tsahal controlla dunque poco più di un terzo della Striscia. In questo contesto anche le effettive perdite di Hamas non appaiono chiare. Israele rivendica l’uccisione di 7mila dei 30mila militanti fondamentalisti tra cui un buon 50 per cento dei suoi comandanti. Contando anche i feriti reputa dunque di aver già eliminato la metà dei nemici. Ma si tratta di stime difficilmente verificabili. Anche perché quando sono chiamati a ipotizzare la durata delle operazioni i vertici di Tsahal non appaiono altrettanto ottimisti.
I generali israeliani ritengono che l’attuale fase di intensi combattimenti si prolungherà almeno fino alla fine di gennaio. Ma per arrivare al controllo di oltre il 90 per cento della Striscia e alla totale eliminazione dei vertici di Hamas e delle sue forze residue sarà necessaria un ulteriore fase che potrà richiedere dai tre ai nove mesi. Il prolungarsi delle operazioni fino a oltre metà del 2024 rischia però di mettere in difficoltà non solo un Joe Biden impegnato in una complessa corsa per la rielezione, ma anche quei paesi arabi e quell’Autorità Palestinese chiamati, eventualmente, a subentrare ad Hamas nell’amministrazione della Striscia. Con il rischio che la tanto preannunciata vittoria si trasformi in una guerra infinita.