C’è chi si è addormentato sui divanetti di Expo City, dopo una prima notte insonne e in vista di una seconda nottata di fuoco, con i telefoni sempre accesi. Conferenze stampa cancellate, proteste degli attivisti per l’ambiente sempre più accese e il timore che si materializzi il flop di Copenaghen 2009, quando non si trovò nessun accordo. Fiato sospeso fino alla fine alla Cop28 di Dubai, il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che quest’anno ha come teatro gli Emirati Arabi Uniti. «Le consultazioni proseguono fino alle 3 del mattino», ha spiegato a fine giornata un portavoce del presidente del summit, l’emiratino Sultan Al Jaber, che si è detto «determinato ad andare avanti», in modo da porter «fornire una versione del testo che abbia il sostegno di tutte le parti». Il testo che i Paesi sono chiamati ad adottare in plenaria necessita infatti del consenso di tutti.
È stato uno scontro durissimo quello che si è consumato a Dubai. Pomo della discordia i combustibili fossili, dopo la scomparsa, nella bozza circolata il giorno precedente, del riferimento al phase-out, alla loro graduale eliminazione, e l’inserimento invece nel testo di una più tiepida indicazione di «limitazione» di carbone, petrolio e gas naturale, una scelta considerata disastrosa dai Paesi ecologisti e da quelli più esposti ai cambiamenti climatici. Due i fronti opposti. Da una parte gli «ambientalisti», capeggiati da Unione europea e Stati Uniti, decisi a modificare a ogni costo la bozza sgradita partendo da un dato: le emissioni di gas serra derivanti dalla combustione di combustibili fossili sono la principale causa del cambiamento climatico. Dall’altra i Paesi dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, guidati dall’Arabia saudita. In totale si tratta di 13 Paesi che controllano l’80% delle riserve mondiali di petrolio e circa un terzo della produzione petrolifera giornaliera globale e che nella formula Opec+, che include Russia e Kazakistan, arrivano a quota 90% della produzione mondiale. In gioco interessi fortissimi, economici e geopolitici. Dal 2010, le entrate petrolifere rappresentano il 75% delle entrate totali del bilancio dell’Arabia Saudita e il 40-45% del suo Pil.
L’Unione europea ha definito l’ultima bozza «inaccettabile», l’ex vicepresidente americano e arci-ambientalista Al Gore ha parlato di Cop28 come di un appuntamento «sull’orlo del completo fallimento». John Kerry, inviato per il clima degli Stati Uniti, ha avvertito: «Questa è l’ultima Cop in cui avremo la possibilità di mantenere in vita l’obiettivo di 1.5 gradi centigradi». Eppure ieri sera, proprio Kerry si è detto fiducioso sugli avanzamenti della linea Usa: «Si va verso un linguaggio più forte sui combustibili fossili». Fra le possibili misure – ma non fra gli obiettivi della bozza – figura l’impegno a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica. Sul resto le trattative più serrate. In cui anche l’Italia gioca la sua parte. «Il nostro ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin di Forza Italia, sta lavorando perché ci sia un testo equilibrato e ambizioso che non sia penalizzante per industria e agricoltura», ha spiegato il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Però c’è un elemento positivo, per esempio la scelta di puntare sul nucleare», ha proseguito Tajani: «Siamo a favore del nucleare di quarta generazione, fonte energetica non inquinante».