Superbonus, ultima mano. Ma dal Tesoro porta chiusa

Superbonus, ultima mano. Ma dal Tesoro porta chiusa

Ma quale proroga, sbotta Giancarlo Giorgetti, qui non c’è trippa per gatti. Non ci sono soldi, non ci sono margini politici e nemmeno la speranza che l’Europa autorizzi a fare altro debito. E così in tarda mattinata, tanto per essere ancora più chiaro, il ministro mette il suo niet nero su bianco. «Il Mef esclude e smentisce qualsiasi ipotesi di estensione del Superbonus circolata in queste ore». Questa pure la linea di Palazzo Chigi, che ripete «niente bonus», perché se cediamo sul 110 per cento, spiega Giorgia Meloni, come possiamo dire no agli altri emendamenti? Sarà un assalto alla diligenza. Così, prima del rush finale, la premier convoca i capigruppo della maggioranza e stringe i boccaporti.

Eppure Forza Italia insiste, spera in uno spiraglio, in un pertugio tra le cifre, del resto quasi in tutte le Finanziarie a un certo punto qualcosa si apre sempre. «Secondo me il prolungamento dei termini è una cosa che va concessa – sostiene Antonio Tajani – e continueremo a parlarne. Dobbiamo consentire di finire i lavori a chi è al 70 per cento delle opere». Se non sarà possibile inserire il prolungamento nella legge di Bilancio, «c’è sempre il decreto Milleproroghe».

Tanti sono i cantieri aperti. «Bisogna tenere in conto le necessità di cittadini, condomini e aziende oneste di poter completare le ristrutturazioni», sostiene Paolo Barelli, capogruppo Fi alla Camera. E si fa strada l’idea di una modifica del Sal, lo stato di avanzamento lavori, cioè la possibilità di spostare di alcuni giorni, o settimane, i termini per depositare gli incartamenti burocratici per le opere effettuate nel 2023. Una misura tecnica e non onerosa. Un tempo supplementare per documentare il diritto alla mega detrazione.

Più di così non si può fare, avverte Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento. «Stiamo ancora discutendo. C’è un’apertura. Consideriamo tuttavia che il Superbonus è costato 130 miliardi, una voragine nei conti pubblici. È un tema sul quale occorre muoversi con molta, molta accortezza, prima di scrivere una norma e di garantire che venga approvata e poi applicata». Perciò va bene «la disponibilità a venire incontro alle richieste», però c’è spazio solo «per correzioni a costo zero». Insomma, al di là dei limiti imposti dal Mef, una trattativa è partita. Dice Dario Damiani, Forza Italia, uno dei relatori della Finanziaria al Senato: «Abbiamo un’opzione sullo stato di avanzamento dei lavori straordinari, gratis, e un’altra di proroga di due mesi, onerosa. Ma Palazzo Chigi deve essere d’accordo, se dicono che non ci sono risorse ne prendiamo atto. Noi non muoviamo un’azione contro, bensì in accordo con l’esecutivo e la maggioranza». Più tempo ma che non sia una proroga: il dibattito politico diventa una discussione semantica.

La fiducia finale è prevista per il 29. L’opposizione abbandona per protesta i lavori in commissione. «Qui slitta tutto – dice la dem Beatrice Lorenzin – si annunciano emendamenti che non si vedono e quindi ci rifiutiamo di fare una discussione generale su provvedimenti che non si conoscono. M5S parla di paralisi ignobile. Intanto un emendamento del governo arriva, una rimodulazione dei fondi stanziati per il Ponte sullo Stretto. Sugli 11,6 miliardi previsti, il peso per lo Stato si riduce di 2,3 miliardi. Gli euro risparmiati verranno recuperati dal Fondo di sviluppo e coesione: 718 milioni dalla quota destinata alle amministrazioni centrali, 1,6 miliardi da quella per le Regioni Calabria e Sicilia.

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