Liberi. Finalmente liberi. E «in buone condizioni». Dopo 49 giorni di prigionia, 24 ostaggi – tredici israeliani, dieci thailandesi e una filippina che lavoravano come braccianti nei campi agricoli israeliani – tornano in Israele, sinonimo di casa. È la fine di un incubo cominciato il 7 ottobre, 1200 israeliani massacrati da Hamas nei propri letti, al rave, e nei kibbutz. E insieme lo strazio di 240 rapiti nel giorno più sanguinoso dall’Olocausto. Finora 4 donne erano state liberate. Ora il primo gruppo di ostaggi ha lasciato gli aguzzini dell’islam, il terrore dei tunnel sotterranei di Gaza, e ha rivisto la luce. Luce che è sinonimo di casa, sinonimo di Israele.
Fra i 13 liberati ci sono 12 residenti del kibbutz Nir Oz, 9 donne e 4 bambini, 4 di nazionalità anche tedesca. Tra loro diverse anziane: Yaffa Adar, 85 anni, Channa Peri, 79, Hannah Katzir, 77 anni (che la Jihad islamica aveva dato per morta). E ancora Margalit Mozes (78) e Adina Moshe (72). C’è Danielle Aloni, la mamma che in video aveva lanciato un durissimo appello al premier Netanyahu per far liberare «tutti gli ostaggi subito». Con lei la figlia Emilia, 5 anni. Infine altre due famiglie, la prima composta da nonna Ruthi Munder, 78 anni, Keren Munder, 54, la figlia e Ohad Munder, 9 anni. La seconda da mamma e figlie: Aviv Asher, 2 anni, Raz Asher, 4, e Doron Katz-Asher, 34. Nella lista non c’è Kfir Bibas, il più piccolo degli ostaggi, 10 mesi compiuti in prigionia a Gaza.
In tutto saranno rilasciati in 50 nei quattro giorni di tregua iniziata ieri alle 6 del mattino, le 7 in Israele, frutto dell’accordo con Hamas mediato da Qatar ed Egitto, sotto la supervisione degli Stati Uniti. Per i thailandesi, i terroristi hanno concluso un accordo separato con la mediazione dell’Iran.
I 13 ostaggi israeliani, tra cui nessun cittadino con doppia cittadinanza americana, sono stati consegnati dai combattenti di Hamas alla Croce Rossa internazionale a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, dove è avvenuto un primo controllo medico. La Croce Rossa li ha portati prima al valico di Rafah, al confine tra Gaza ed Egitto, dove hanno incontrato alcuni rappresentanti dello Shin Bet, l’intelligence interna israeliana. Poi da Rafah fino al valico di Kerem Shalom, al confine tra Israele ed Egitto e da qui, in elicottero, verso Israele, accolti in vari ospedali di Tel Aviv.
Ecco il momento della commozione. Gli ostaggi hanno riabbracciato le famiglie. Sono stati sottoposti a nuovi controlli medici e resteranno sotto osservazione per due giorni. A bordo di ogni elicottero c’era un team di un comandante, tre combattenti e due medici – tutti istruiti per un’accoglienza di «cortesia, modestia e pazienza». Nulla è stato lasciato al caso.
Subito dopo il rilascio degli israeliani, in Cisgiordania, come prevede l’intesa, anche 39 detenuti palestinesi, 24 donne e 15 minori di 18 anni, su 150 che saranno rilasciati nei prossimi giorni, sono stati prelevati dalla Croce Rossa dalle prigioni di Damon e Megiddo e portati al carcere di Ofer, in Cisgiordania, fino al check point di Beitunia, vicino a Ramallah, dove sono avvenuti scontri. I liberati hanno firmato un impegno a non commettere più atti di terrorismo. Nel frattempo 137 camion di aiuti umanitari entravano a Gaza.
Per Israele è già tempo di pensare al dopo. Ai 37 ostaggi su cui c’è l’intesa e agli altri 170. «Ci impegniamo a liberare tutti», promette il premier Netanyahu. Lo scambio regala un sospiro di sollievo dopo un mese e mezzo di guerra e angoscia. Un’attesa che per oltre 180 ostaggi proseguirà. Ieri all’alba un razzo di Hamas ha tentato di colpire Israele ed è stato bloccato. Basta poco per far vacillare la tregua.
Gli Stati Uniti lavorano «senza sosta» per liberare gli americani. Si spera in una proroga della tregua. «Le chance sono reali» per Joe Biden, certo che la «soluzione a due Stati è più importante che mai». Ogni 10 nuovi ostaggi liberati, lo stop ai combattimenti sarà prolungato di un giorno.