Il 13 dicembre del 1973, battendo il Guatemala, Haiti si qualificò per la prima volta a un mondiale di calcio. L’uomo che trascinò la selezione caraibica si chiamava Ettore Trevisan, aveva 44 anni, un fratello (Memo), vice di Bearzot, e una carriera da allenatore spesa in club di secondo piano tra Francia, Grecia e Italia. Trevisan arrivò ad Haiti nel gennaio del 1973, accettando una proposta di lavoro della Fifa, mediata dal ministero degli Esteri italiano. «Vada da quelle parti, diffonda il verbo e insegni sull’isola a giocare a pallone». Le parole furono pronunciate dall’allora capo della diplomazia Aldo Moro. Il tecnico italiano partì da zero, costruendo una squadra competitiva attorno a tre giocatori che avevano del talento: il playmaker Vorbe, il centravanti Sanon, e il portiere Françillon, soprannominato dai media il «ghepardo -volante». Sembra di immergersi nella sceneggiatura di una favola, ma questa storia, purtroppo, non ha avuto un lieto fine. Anzi, è zeppa di momenti drammatici, di lacrime, sangue e tradimenti. Tanto per cominciare il contesto: Haiti all’epoca era governata da Jean Claude Duvalier, figlio del dittatore François. Aveva preso il posto dopo la morte del padre nel 1971, ad appena 19 anni. Amministrò Haiti in maniera autoritaria, accentrando il potere nelle sue mani e costringendo più di 100mila haitiani ad andarsene per sfuggire alle repressioni dei Tonton Macoutes, le forze paramilitari create dal padre negli anni Cinquanta. Trevisan all’inizio venne trattato con i guanti bianchi. Quando usciva di casa la mattina, si lasciava dietro la moglie, i figli, la governante Anita, il cane e il giardiniere Fritz. Viveva in un’ampia villa con giardino e piscina, tra mango e noci di cocco. Qui inizia, in esclusiva per Il Giornale, il racconto di Françillon, che vive a Boston e gestisce una scuola calcio. «Per l’umidità ci allenavamo alle 6 di mattina. Venivamo considerati soldati e il signor Trevisan il nostro generale».
Purtroppo il 5 gennaio 1974, a Francoforte, tutto cambiò radicalmente. Nel corso del sorteggio per la Coppa del Mondo, Haiti venne inserita nello stesso girone dell’Italia. Duvalier, affetto da ossessioni di complottismo, iniziò a considerare il suo allenatore una spia al servizio degli italiani, e poche settimane dopo lo licenziò in tronco.
«In quel momento mi cadde il mondo addosso – racconta Françillon – a Trevisan dovevo tutto, senza di lui mi sono sentito perso». La squadra passò nelle mani di un allenatore locale, Antoine Tassy, e quando gli haitiani arrivarono in Germania vennero blindati nelle loro stanze d’albergo.
«Uscivamo solo per gli allenamenti. Il presidente della federazione disse ai giornalisti che temeva un attentato dei palestinesi dopo i fatti di due anni prima alle Olimpiadi di Monaco. In realtà noi caraibici siamo cultori del sesso libero.
Tassy sosteneva che il sesso indeboliva il fisico e fu così che decise di chiuderci a chiave nelle camere. Eravamo di fatto degli ostaggi».
Trevisan, che guardò impotente alla tv i suoi allievi perdere contro Italia, Polonia e Argentina, è morto di Covid nel 2020. Aveva 92 anni e dopo Haiti ha allenato a Pordenone, Senigallia e Marsala, rilevando negli anni successivi un negozio di scarpe per signora nel centro di Trieste. È stato a suo modo un precursore dell’Italian Style in giro per il pianeta. Lui a Monaco non c’è arrivato, ci andranno, 50 anni dopo, 5 suoi connazionali per gli Europei.
Oltre a Spalletti sulla panchina degli azzurri, quello che più somiglia a Trevisan è Francesco Calzona, 55 anni, che guida da pochi mesi la sorprendente Slovacchia.
Dopo una vita da vice, per lui è arrivata la grande occasione. Vincenzo Montella in poche settimane ha rimesso in carreggiata una Turchia che sembrava spacciata, mentre Marco Rossi è riuscito da qualche anno a strappare dall’anonimato l’Ungheria che viveva ormai di ricordi.
Un discorso a parte merita Domenico Tedesco, ct del Belgio, nato in Calabria ma emigrato da ragazzino in Germania con la famiglia. Dopo le esperienze allo Schalke, nello Spartak Mosca e col Lipsia, ha regalato una seconda giovinezza ai Diables Rouges, che potrebbero essere la sorpresa del torneo.