I campi sterminati e il vantaggio demografico: così la Cina vince la sfida dei pomodori

Raccolta dei pomodori nella regione cinese dello Xinjang.

Sulla pizza o nelle insalate, nel ragù o concentrato, il pomodoro è uno degli alimenti più versatili e per questo apprezzati del mondo. Una versatilità che non si riscontra soltanto a tavola, ma anche nel frutto stesso. Già, perché il Solanum lycopersicum (questo il nome scientifico) è, almeno botanicamente, considerato un frutto nonostante rientri a pieno titolo nella categoria nutrizionale delle verdure. Ed è una delle più prodotte al mondo.

La Cina ha saputo approfittare di questa capacità di adattamento del pomodoro, pianta originaria del Sudamerica e importata in Europa dagli spagnoli dopo la scoperta dell’America. Pechino rappresenta il mercato più vasto ed è leader con ben 67 milioni di tonnellate coltivate all’anno. Se si considera che il dato mondiale vale circa 150 milioni di tonnellate, la Cina occupa dunque quasi la metà della produzione globale. Ciò è reso più facile dalla grande disponibilità di terra e dalla manodopera del Paese asiatico, che altrove è meno capillare e numericamente inferiore.

In seconda posizione con 21 milioni di tonnellate, c’è l’India, nazione in via di sviluppo e con un clima favorevole per la crescita dei ciliegini. Terza invece la Turchia, che primeggia nell’agroalimentare e riesce a esportare e conservare per sé circa 13 milioni di pomodori, seguita dagli Stati Uniti (10 milioni).

L’Italia è quinta in classifica con oltre 6 milioni e 600mila tonnellate raccolte annualmente. Cuori di bue, ciliegini, datterini, ma anche San Marzano, Pachino e vesuviani sono le specialità degli agricoltori italiani che risultano così essere i primi nell’Europa continentale. I pomodori italiani sono tra i più ambiti anche per le salse e i sughi.

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