«Lacrime, sudore e cambiamento». Questa, in sintesi, la diagnosi espressa dal nuovo presidente dell’Argentina, Javier Milei nel suo discorso di ieri. Trentacinque minuti «storici» non solo per i contenuti, ma anche perché il primo economista liberale mai arrivato alla Casa Rosada si è rivolto verso la folla immensa che gremiva la parte antistante del Parlamento, girando le spalle a deputati e senatori oltre a salutare i fan con il suo solito triplice grido, diventato un marchio di fabbrica: «Viva la libertà, carajo! (c, ndr)».
Folclore abbracciato anche dall’oramai ex vicepresidente Cristina Kirchner, che ieri ha condotto in qualità di presidente del Senato il passaggio delle consegne tra l’uscente Alberto Fernández e Milei. Cristina prima ha gigioneggiato con lui facendosi mostrare il pomello del bastone presidenziale con sopra inciso il leone (il simbolo di Milei a causa della sua chioma), poi ha lasciato il Parlamento mostrando il dito medio alla folla che gli dava della «chorra», che in italiano sarebbe «ladrona».
Certo è che lasciando da parte il folclore, Milei nel suo discorso ha ricordato che il kirchnerismo gli ha lasciato in eredità «una bomba a orologeria» e «un paese devastato». Quello del neo presidente è stato a detta degli analisti argentini il discorso più duro, brutale, onesto e tecnico mai pronunciato dal 1983, quando in Argentina è tornata la democrazia, 40 anni fa.
«Oggi inizia una nuova era in Argentina, concludiamo una lunga e triste storia di decadenza e declino per cominciare il percorso di ricostruzione, seppellendo decenni di fallimenti» ha esordito Milei, per poi spiegare che «le idee impoverenti del collettivismo sono un modello che genera solo stagnazione e miseria. Come la caduta del muro di Berlino ha segnato la fine di un periodo tragico per il mondo, queste elezioni hanno segnato la svolta decisiva per la nostra storia».
Vedremo, di sicuro nessun governo ha ricevuto un’eredità peggiore di quella lasciata dal kirchnerismo, ovvero – ha spiegato Milei – «un’inflazione proiettata del 15.000% annuo che combatteremo con le unghie e con i denti perché la nostra massima priorità è fare ogni sforzo possibile per evitare una tale catastrofe, che porterebbe alla povertà sopra al 90%». Come in Venezuela, visto che già oggi il 45% degli argentini vive negli stenti.
Per Milei non c’è alternativa all’aggiustamento choc e ha annunciato che le prime misure che il suo governo adotterà avranno un impatto iniziale negativo. «Ci sarà una stagflazione, ma non sarà molto diversa da quella degli ultimi 12 anni e questo è l’ultimo calice amaro da bere per iniziare la ricostruzione dell’Argentina». La soluzione che ha proposto ieri alla folla «sarà un aggiustamento fiscale nel settore pubblico di 5 punti di Pil, che ricadrà quasi interamente sullo Stato e non sul settore privato» ma «nel breve periodo la situazione peggiorerà e devo ripetervelo: non ci sono soldi».
Dato che la politica monetaria agisce con un ritardo che varia dai 18 ai 24 mesi, ha aggiunto il neo presidente, «smettendo di emettere moneta oggi, come faremo, continueremo comunque a pagare i costi della furia monetaria del governo kirchnerista» perché emettere «l’equivalente del 20% del Pil come è stato fatto nel governo uscente non è gratis. Lo si paga caro con l’inflazione». Dopo il riassetto macroeconomico che Milei ha in mente, la situazione assicura che inizierà a migliorare e, «alla fine si vedrà la luce. Ripeto: l’inizio sarà duro e la situazione peggiorerà nei primi mesi, ma poi vedremo i frutti dei nostri sforzi». È quanto sperano anche gli argentini, e non solo il 57% che lo ha votato.