Se doveva essere una conferma del suo splendore internazionale come statista ricandidato alla presidenza russa, a fronte dell’importanza di Biden in uno degli agoni più infuocati del mondo, non gli è andata bene. La telefonata di ieri di Putin a Benjamin Netanyahu l’ha collocato definitivamente dalla parte della mappa dove troviamo con lui Iran, Hamas, Hezbollah, Houty, Assad e qualcun altro. Anzi, in parallelo con lo stesso colloquio telefonico di ieri durato cinquanta minuti per rispondere al quale Bibi è uscito alla riunione di Gabinetto, ha chiarito le cose una dichiarazione di rinforzo di Sergej Lavrov: nel mezzo del repertorio antisraeliano classico usato anche dall’ONU («l’attacco non è avvenuto nel vuoto», ha detto proprio come Guterres) dichiarava inaccettabile la «punizione collettiva» dei civili palestinesi. Gli è del tutto accettabile invece quella dei cittadini di Kiev e di tutta l’Ucraina, e anche quella, nel passato, dei cittadini ceceni.
Solo che nel caso della Russia non si tratta di guerre di difesa, ma di aggressioni di conquista. La conversazione fra i due leader è andata male, un confronto fra nemici. Netanyahu ha criticato l’alleanza della Russia con l’Iran, gli ha espresso il suo scontento sull’atteggiamento circa la guerra con Hamas. È dal 7 di ottobre che la Russia sta di fatto dalla parte dei terroristi che non chiama con questo nome, non li condanna ufficialmente, ospita a Mosca i leader di Hamas e spinge avanti senza sosta i rapporti con l’Iran.
È divenuto dal 7 di ottobre il leader di riferimento, al di fuori del mondo islamico, per gli amici di Hamas. Poco dopo le atrocità sui kibbutz, il 26 di ottobre, in Russia ebbe luogo una riunione strategica fra il capo delle relazioni internazionali di Hamas, Mousa Abu Marzuk, Michael Bogdanov, braccio destro di Putin per il Medio Oriente, e il viceministro degli esteri iraniano Al Bagheri Kani. Pochi giorni fa, il 7 dicembre, al Cremlino si è svolto un incontro fra Putin e Ibrahim Raisi, il presidente iraniano, in cui Putin ha lodato il contributo iraniano alla guerra contro gli Ucraini. Sono giorni in cui gli Houti dallo Yemen usano missili balistici iraniani in lanci su Eilat, 1.700 chilometri più in là, sul territorio israeliano, e gli Hezbollah tengono accesa la possibilità di una guerra col Libano.
Tutte queste entità terroriste sono agli ordini dell’Iran, e la Russia è il migliore amico occidentale, o in parte occidentale, degli Ayatollah. Putin ha cercato ieri un’esposizione nello scontro Mediorentale telefonando a Netanyahu: il primo ministro israeliano non è in un periodo adatto al sorriso, ma avrà trovata ironica la denuncia della «catastrofica situazione umanitaria della Striscia di Gaza» da chi ha aggredito l’Ucraina. Putin ha telefonato anche perché ci tiene a evitare l’accusa di antisemitismo, e perché contava sul fatto che Netanyahu è stato sempre cauto nel rompere con Mosca, a causa della sua presenza armata dai confini siriani. Questo ha portato, nonostante la grande simpatia politica e popolare di Israele per l’Ucraina sostanziata da molto aiuto umanitario e da attrezzature non aggressive per evitare lo scontro diretto con Putin, all’attuale presa di coscienza della Russia come inevitabile nemico. C’è poco da fare, il dna della storia, per cui l’Urss costruì per prima la menzogna di un Israele coloniale, razzista, imperialista, alleato degli USA contro il Terzo Mondo, non tramonta in un giorno. Di recente la liberazione diretta di tre ostaggi di origine russa è avvenuta per intervento diretto di Putin: Netanyahu ha detto grazie, sapendo però che questo significa intimità coi terroristi.