È un’ammissione di impotenza sulla guerra nella Striscia di Gaza quella che emerge dalle recenti parole di Antonio Guterres, pur se il segretario generale delle Nazioni Unite promette che non si arrenderà. «Andiamo verso la catastrofe» ha ribadito ieri il rappresentante dell’organismo internazionale che, sulla carta, tra i principali obiettivi si prefigge proprio il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale, lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni e il perseguimento della cooperazione internazionale. Tutti scopi naufragati nel conflitto tra Hamas e Israele al quale gli islamisti hanno dato inizio il 7 ottobre. «A Gaza è l’inferno in terra», ha aggiunto il capo dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini. «Metà della popolazione sta morendo di fame», è l’allarme disperato del Programma alimentare delle Nazioni Unite, mentre i morti nella Striscia sono ormai 18mila e i feriti 50mila.
L’impotenza delle Nazioni Unite nel mettere fine al conflitto e dare sollievo alla popolazione palestinese di Gaza si è materializzata per l’ennesima volta venerdì, quando al Palazzo di vetro di New York gli Stati Uniti hanno usato il diritto di veto di cui possono servirsi come membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, facendo naufragare la risoluzione per un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza. Israele ha tirato un sospiro di sollievo ma quel voto, per molti Paesi che speravano in una tregua, è l’emblema di un’impotenza che ha riguardato centinaia di crisi internazionali, come ha ammesso ieri Guterres. «Il forum più importante per la risoluzione pacifica delle dispute internazionali è paralizzato da divisioni geostrategiche – ha detto il segretario dell’Onu al Forum di Doha – E questo sta compromettendo soluzioni dall’Ucraina a Myanmar, al Medio Oriente». Secondo Guterres, «l’autorità e la credibilità del Consiglio sono state gravemente compromesse», anche se il leader delle Nazioni Unite non perde la speranza: «Avevo ribadito il mio appello per un cessate il fuoco umanitario. Purtroppo il Consiglio di Sicurezza non ci è riuscito, ma questo non lo rende meno necessario. Posso quindi promettere che non mi arrenderò».
Guterres vuole provarci fino alla fine. Ma il potere di veto a disposizione dei 5 membri permanenti delle Nazioni Unite Stati Uniti, Cina, Russia, Gran Bretagna e Francia paralizza decisioni cruciali dell’Onu dalla sua istituzione il 26 giugno del 1945. Il caso più recente e che brucia ancora è proprio quello dell’Ucraina, tanto che il presidente Volodymyr Zelensky si è spinto a proporre di togliere il diritto di veto alla Russia. «È impossibile fermare la guerra perché tutte le azioni hanno il veto dell’aggressore», ha denunciato il leader ucraino tre mesi fa, in apertura del Cds dedicato alla guerra alle porte dell’Europa.
Non è la sola contraddizione dell’organismo a cui aderiscono 193 Paesi ma che, con un giudizio a dir poco impietoso, come nel suo stile, Oriana Fallaci, definì «una banda di mangia-a-ufo, una mafia di imbroglioni che ci menano per il naso». Più sobriamente Winston Churchill, prevedendo il rischio di decisioni difficili nel tentativo di mettere d’accordo nazioni così diverse, pur dicendosi soddisfatto della firma sulla Carta Onu, già nel ’45 paventò nei suoi diari il rischio che l’organismo diventasse «la premessa di una Babele».
A proposito di contraddizioni, le ultime sono emerse, insieme a molte polemiche, quando a novembre l’Iran ha assunto la presidenza del Forum Onu sui diritti umani, un paradosso per un Paese che ancora in queste ore continua a violarli impunemente, e un grave imbarazzo per le Nazioni Unite, che tuttavia non hanno impedito si arrivasse a questo punto. Come, d’altra parte, non hanno impedito che il prossimo Forum per la gestione di Internet sia stato assegnato all’Arabia saudita, regime che mette in carcere, condanna a centinaia di frustate e alla pena di morte centinaia di giornalisti e attivisti per le opinioni espresse sul web.