«Uomini, dite ti amo alle vostre compagne, ditelo ora, ditelo spesso». Gino Cecchettin conclude così il suo intervento in tv a «Che tempo che fa». Occhi grandi e messaggi grandi di chi è stato costretto a spalancare il cuore, straziato dal più indicibile dei dolori, di chi ha capito cosa vale e cosa no. Di fronte a lui gli occhi piccoli e la voce impostata a due toni sotto di Fabio Fazio che a più riprese cerca di mettere il cappello sopra al nuovo papà d’Italia, sopra al suo progetto. «Ora raccoglierò le forze dopo questo mese molto pesante ma la mia intenzione è quella di avviare un’associazione o una fondazione» dice Cecchettin. E quell’altro: «Se possiamo essere utili, lo faremo con molto piacere». La bramosia di impossessarsi della lotta (di tutti) contro la violenza è evidente, così come lo è la tentazione di tirare Gino Cecchettin per la giacca e farlo salire sul carrozzone dei buoni, di quelli che sanno.
Che poi sono gli stessi che parlano di patriarcato da due settimane e lo vedono ovunque, lo usano come trampolino per lanciare il nuovo femminismo versione 2023. Brandizzando concetti, creando buoni e cattivi, cercando nuova linfa vitale da dare a una sinistra che ne ha pochina. O che, per lo meno, da un paio di anni buoni aveva sbagliato battaglia sociale perdendo tempo ad appiattire i generi anzichè guardare ai problemi reali.
La speranza è che Gino Cecchettin non cada nella trappola e resti puro, senza bandiera. Perchè quella che è arrivata nelle case di tutta Italia è l’immagine di un uomo che ha avuto la forza di anteporre il bene collettivo al dolore personale. E la rivoluzione culturale che ha inizio non ha, e non deve avere, colori. «Ho una mente razionale – spiega – Mi sono astratto dal dolore per cercare di capire dove ho sbagliato io e come dare ad altri la possibilità di salvarsi. Dopo la perdita di mia moglie Monica e di Giulia vedo il mondo in modo diverso, sono un uomo diverso. Mi trovo a gridare che dobbiamo fare qualcosa».
E quel qualcosa, caro Fazio, non è portare nuovi consensi sul carrozzone dei giusti. È centrare il punto: la fragilità dei giovani, lo sfogo delle insicurezze nell’eccessivo possesso, l’incapacità di gestire un fallimento, il «dovere» di apparire quello che non si è. Il lavoro è tanto. Comincerà dalle scuole, come già cominciato: «Ringrazio il presidente Zaia – dice Cecchettin – e il ministro all’Istruzione Valditara perchè se hanno permesso di portare il mio discorso nelle scuole vuol dire che stiamo facendo qualcosa di buono». Agli insulti ricevuti on line, contro cui ha già sporto denuncia, Cecchettin replica: «Voglio amore, l’odio ti leva energia. Ho provato rabbia. Dalla domenica in cui ho capito che Giulia non sarebbe più tornata, l’ho provata. Poi mi sono detto: voglio essere come lei. E così farò. Come sosterrò le battaglie di mia figlia Elena».
La rivoluzione di Cecchettin parte dagli uomini, da un linguaggio nuovo, che elimini espressioni del tipo «la mia donna» e che apra al dialogo con i figli, per capire le loro frustrazioni, le loro crepe. Perchè anche un papà in gamba, che è consapevole del rapporto morboso della figlia con il fidanzatino, mai si potrebbe immaginare un epilogo così tragico come quello di Giulia.