Rischia la pena di morte il diplomatico Ue di cittadinanza svedese, Johan Floderus, detenuto in una prigione di Teheran da oltre 600 giorni, con l’accusa di aver cospirato con Israele contro l’Iran. Tra le accuse formulate dai magistrati, come fa notare l’agenzia iraniana Isna e anche la Reuters, vi è quella di “corruzione sulla terra“, uno dei reati più gravi per la Repubblica islamica e che prevede la pena capitale. Il processo a carico di Floderus è iniziato oggi a Teheran. Sono stati accusati di “corruzione sulla terra” alcuni dei manifestanti anti-regime arrestati e giustiziati nei mesi scorsi in Iran nell’ambito delle proteste del movimento “Donna, vita, libertà”.
In attesa di conoscere i dettagli ulteriori dell’udienza e come evolverà il processo, il caso Floderus – di fronte alla totale negazione delle accuse – sembra spiegarsi in un modo banale ma terribile con la figura stessa del giovane diplomatico: un “semplice” visitatore straniero che, per via della sua professione, risulta un ostaggio di “alto valore”, altamente appetibile per il mercanteggiare umano a cui è abituato il regime iraniano.
Johan has been illegally detained in Evin prison for 511 days, with more than 300 of them in solitary confinement.
In a statement released today, Johan’s 33rd birthday, his family calls for urgent action to #FreeJohanFloderus
Read the full statement: https://t.co/PX3KPSYpIQ— Free Johan Floderus (@free_JohanF) September 10, 2023
L’accusa da parte dell’Iran contro Floderus
“L’imputato è stato attivo contro la Repubblica islamica dell’Iran nel campo della raccolta di informazioni a beneficio del regime sionista sotto forma di progetti sovversivi“, ha dichiarato l’accusa. Domenica scorsa, il capo della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell ha chiesto l’immediato rilascio del diplomatico svedese, sostenendo che “non ci sono assolutamente motivi per mantenere Johan Floderus in detenzione“. Floderus, 33 anni, lavora per il servizio diplomatico dell’Unione europea. È stato arrestato il 17 aprile 2022 all’aeroporto di Teheran mentre tornava da un viaggio di piacere all’estero ed è detenuto nella famigerata prigione di Evin, nella capitale iraniana. “Non c’è alcuna base per mantenere Johan Floderus in detenzione, né tantomeno per processarlo“, aveva dichiarato ieri il ministro degli Esteri svedese Tobias Billstrom. Il padre del diplomatico ha dichiarato al Guardian che il figlio sta vivendo “un inferno” e ha fatto appello affinché venga liberato fondando una vera campagna mediatica intitolata #FreeJohanFloderus. Matts Floderus ha detto che il figlio condivide una cella senza letto e dorme sotto l’illuminazione 24 ore su 24. gli è stato negato, inoltre, l’accesso a telefonate, libri e medicine.
La “diplomazia degli ostaggi” di Teheran: scambiare Floderus con Hamid Nouri
Lo scorso 12 settembre la magistratura iraniana aveva confermato l’arresto di Floderus, affermando che a breve il suo caso sarebbe stato inviato in tribunale: l’indagine sarebbe stata conclusa al più presto e sarebbe giunta tempestivamente la decisione del procuratore. Tre mesi, invece, sono passati e nulla di nuovo è accaduto sino ad oggi, data d’inizio del processo. La notizia dell’arresto aveva scatenato le reprimenda di numerosi membri dell’Ue che avevano contestato la segretezza della notizia mantenuta per oltre un anno. L’eccessiva cautela era stata giustifica considerando la delicatezza del caso, ennesimo episodio della saga della diplomazia degli ostaggi che l’Iran utilizza da tempo immemore per ottenere concessioni di vario tipo dai Paesi occidentali con cui tratta. Immediatamente dopo l’arresto, secondo quanto Politico ha riportato alla fine della scorsa estate, il governo iraniano avrebbe tentato uno scambio con il funzionario iraniano Hamid Nouri arrestato in Svezia nel novembre del 2019. Un tentativo di mediazione contestato, tuttavia, dalla corte d’Appello svedese.
“Corruzione sulla terra”: Il reato di cui è accusato Floderus
Floderus è accusato di “corruzione sulla Terra” (Mofsed-e-filarz) una particolare tipologia di reato, comunemente usata a danno di manifestanti, attivisti, sportivi ma anche personaggi del mondo dello spettacolo che combattono per i diritti umani nel Paese o che sono anche solo velatamente sospettati di simpatizzare per i movimenti di liberazione. Si tratta di un reato talmente generico e onnicomprensivo, in grado di comprendere qualsiasi violazione del diritto e, in questo caso della Sharia’a. Il reato si rifà all’articolo 286 della Costituzione che lo rende punibile con la condanna a morte secondo il codice penale della Repubblica Islamica. Si tratta di “ogni grave turbativa dell’ordine pubblico, che cagioni insicurezza o grave danno alle persone o ai beni pubblici e privati, ovvero la diffusione su vasta scala di corruzione e prostituzione“. Un enorme calderone spalancato sull’inferno delle carceri iraniane nel quale includere qualsiasi realtà dalla danza delle donne in strada alla collaborazione con Paesi “ostili”. Non a caso viene utilizzato contro praticamente chiunque attenti all’ordine costituito soprattutto in seguito ai disordini scatenatisi dopo la morte di Mahsa Amini lo scorso anno.
Un comitato, composto da membri dell’Irgc, del Ministero dell’intelligence, dell’Esercito e del Comitato di sicurezza nazionale del Parlamento ha il compito di determinare chi violi le nuove leggi sull’ordine pubblico inaspritesi dallo scorso anno e, dunque, bollando i sospettati con questa tipologia di reato-quadro. All’interno del ventaglio di casi c’è anche la semplice ripresa audio, video o foto di un atto criminale per strada e l’invio di “prove” a resti estere o “ostili” oppure la pubblicazione di dichiarazioni di accusa contro il regime iraniano non opportunamente suffragate da prove fattuali.