La Turchia sta scivolando sempre più lontana dal blocco a guida statunitense. Lunedì 3 giugno, il ministro degli Esteri di Ankara Hakan Fidan è volato a Pechino e ha partecipato ad un vertice con il suo omologo cinese Wang Yi e altri funzionari. Dopo l’incontro gli è stato chiesto se il suo Paese fosse interessato ad unirsi ai Brics. “Ovviamente ci piacerebbe. Perché non dovrebbe?”, è stata la sua risposta.
Il ministro Fidan ha anche spiegato che la Turchia sta valutando possibilità di cooperazione con i Brics e che parteciperà ad un incontro del gruppo previso per la seconda settimana di giugno in Russia. Le sue parole sono state accolte con favore dalla Federazione, altro membro di spicco del gruppo di nazioni di cui fanno parte Iran, Sud Africa, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Egitto, India e la stessa Cina. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha affermato che la questione sarà discussa durante il prossimo summit del blocco, aggiungendo anche che vi è un interesse crescente nei confronti dei Brics da parte di molti altri Stati.
Le dichiarazioni di Hakan Fidan lasciano aperti molti dubbi. Ankara, infatti, non ha mai ufficialmente manifestato l’interesse di unirsi al raggruppamento delle economie emergenti e, dopo le accuse degli alleati occidentali riguardo ai suoi legami con la Russia, ha ribadito di essere un membro a tutti gli effetti della Nato e di avere ancora come obiettivo la piena adesione all’Unione europea. Questa posizione “di mezzo” della Turchia, però, potrebbe diventare presto insostenibile.
La tensione tra il blocco a guida statunitense e la Federazione, infatti, è salita considerevolmente dopo che diversi Paesi hanno annunciato la rimozione delle restrizioni imposte a Kiev sull’uso delle proprie armi per attaccare il territorio russo. Il confine orientale della Nato è sempre più militarizzato e un eventuale conflitto, ipotesi prevista nel giro dei prossimi dieci anni dalle principali agenzie d’intelligence occidentali, imporrebbe ad Ankara di scegliere da che parte stare.
A questo si aggiunge anche la guerra in corso in Medio Oriente. Il presidente Erdogan non ha nascosto le sue posizioni pro-Hamas e contro Israele, arrivando anche ad affermare che centinaia di terroristi palestinesi feriti durante i combattimenti a Gaza sono stati curati negli ospedali turchi.
Questa postura li mette in diretto contrasto con gli Stati Uniti, alleato di ferro di Tel Aviv che, nonostante i disaccordi riguardo all’operazione militare a Rafah, non ha mai smesso di sostenere lo Stato ebraico e di lavorare per la normalizzazione dei suoi rapporti con i Paesi arabi.