Il momento della verità si avvicina, il voto per le Europee è ormai alle porte e tra slogan, promesse e rivendicazioni del lavoro fatto, quattro leader, Matteo Salvini, Antonio Tajani, Elly Schlein e Giuseppe Conte, scendono in campo a «In mezz’ora» per un confronto «indiretto», interviste one to one condotte da Monica Maggioni in rapida successione. Sullo sfondo c’è il dibattito sulle future maggioranze europee. La promessa è quella di evitare compromessi e grandi coalizioni, ma saranno gli elettori a dire se sarà possibile replicare il format del centrodestra italiano (o quello del centrosinistra) in Europa. Se la segretaria del Pd mette il veto su possibili accordi «con le destre nazionaliste», il numero uno di Forza Italia – soddisfatto per i «treni azzurri» vicini al sold out per la manifestazione di chiusura della campagna elettorale di Fi, il 6 giugno, a Napoli – rimanda al Ppe la scelta sulla candidatura della stessa von der Leyen. Antonio Tajani si sofferma poi sul tema giustizia, storica riforma inseguita da sempre da Forza Italia e connaturata nella sua storia e nel suo dna. Il vicepremier azzurro propone una efficace similitudine sulla disciplina di terzietà – anche politica – che un magistrato dovrebbe seguire. «Noi vogliamo esaltare il ruolo del giudice giudicante e vogliamo che stiano sullo stesso piano accusa e difesa. Abbiamo avuto per decenni un correntismo nella magistratura, io sono contrario a essere giudicato da un magistrato che dice io sono di quel partito. I magistrati, come i carabinieri, non devono avere partito». Un tema, quella della separazione delle carriere su cui Giuseppe Conte torna a scomodare nientedimeno che Licio Gelli e l’obiettivo di «mettere la magistratura sotto il controllo del governo».
L’altro argomento caldo è quello della politica estera. Elly Schlein coglie l’occasione per smarcarsi, non senza qualche imbarazzo, dalle parole di Marco Tarquinio che vorrebbe sciogliere la Nato. «La linea del Pd sulla politica estera la fa il Pd. Tarquinio è una autorevole candidatura indipendente, io lo ringrazio per aver accettato la candidatura e per sostenere nel modo più alto una lista plurale. Da indipendente ha espresso una linea che, su questo, non è quella del Pd». Per il centrodestra c’è invece la questione dell’autorizzazione all’uso di armi occidentali con cui colpire obiettivi militari in Russia. Tajani rivendica la piena unità del governo italiano sul tema. «Le posizioni all’interno del governo sono omogenee: nessun soldato italiano in Ucraina e non dobbiamo usare armi in territorio russo. Stoltenberg non c’è bisogno che si dimetta perché ci sarà un nuovo segretario generale. Siamo a un passo sull’accordo su Rutte. Nessuno ha deciso che bisogna usare le armi in territorio russo». Linea che con toni più netti viene sposata anche da Matteo Salvini: «Noi abbiamo sempre approvato l’invio di aiuti all’Ucraina per difendersi, ma se dovessero andare avanti queste smanie di guerra, questi piccoli bombaroli alla Macron, noi dovremmo stare molto attenti a mandare altre armi all’Ucraina». Il segretario della Lega rivendica il piano salva-casa – «non è un condono, le case per gli italiani sono lacrime sudore» – e poi difende il generale Vannacci dalle accuse che continuano a piovergli addosso. «Il razzismo in Vannacci non lo vedo.
Condivido tanto del suo pensiero. Penso che sarà uno dei più votati non della Lega ma di tutti i partiti. Dire no alla prepotenza e al fanatismo islamico non è razzista. Gli italiani che lo sceglieranno, vogliono sicurezza, legalità e ordine».