“L’ho afferrata per le ginocchia e l’ho sollevata oltre la ringhiera“. Lo avrebbe detto Andrea Favero nel primo interrogatorio davanti agli agenti della Polizia Stradale e della Squadra Mobile di Padova ammettendo di essere stato lui a spingere la compagna, Giada Zanola, giù dal cavalcavia dell’A4 Milano-Venezia, nel territorio di Vigonza. Una circostanza che, se confermata, troverebbe parziale riscontro con l’esito dell’autopsia: la 33enne era viva quando è precipitata nel vuoto. Se non fosse che l’indagato, durante l’interrogatorio con il pm Giorgio Falcone, ha detto di non ricordare quanto accaduto nella notte tra martedì e mercoledì scorso.
Il verbale
Come anticipa il Corriere.it, le dichiarazioni di Favero sono contenute nelle cosiddette sit (sommarie informazioni testimoniali), che però non possono essere utilizzate come eventuale prova nel caso in cui il 39enne fosse rinviato a giudizio. Tuttavia costituiscono un elemento indiziario importante a carico dell’indagato, ad oggi accusato di omicidio volontario aggravato. Il suo nuovo avvocato, Marco Marcelli, subentrato alla collega Laura Trevisan, ha voluto precisare che l’assistito non ha fatto alcuna ammissione di colpa. A parte le prime parziali ammissioni, davanti al gip e al pm Favero si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Il volo giù dal cavalcavia
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, alle ore 3.30 di quella notte il 39enne e la compagna si trovavano sul cavalcavia. A seguito di una lite, cominciata già quando erano in casa, Favero avrebbe afferrato Giada per le gambe mentre erano sul gradino alto circa 70 centimetri del parapetto.
Quindi l’avrebbe sollevata oltre l’altezza residua della ringhiera facendola precipitare nel vuoto La giovane, precipitata sull’asfalto dopo un volo di 15 metri, è stata travolta da un tir che non è riuscito a schivarla. Nel frattempo, l’indagato è tornata a casa. Attorno alle 7 del mattino ha inviato alla donna: “Sei già andato al lavoro? Sei uscita senza neanche salutarci“.