«Da un punto di vista tecnico e militare noi siamo ovviamente pronti». L’ultima dichiarazione di Vladimir Putin sul possibile impiego di ordigni nucleari risale allo scorso marzo. E letta così non fa neanche impressione. Una nazione dotata di seimila testate deve necessariamente esser pronta ad impiegarle. Ma la frase si fa più inquietante se affiancata a quella con cui Putin ricorda che «l’Ucraina è per noi questione di vita o morte». Le due esternazioni diventano ancor più preoccupanti alla luce della «dottrina nucleare» russa varata nel 2010 e aggiornata nel 2020. La versione del 2010 autorizza l’uso di armi nucleari «anche in caso di aggressione con armi convenzionali quando l’esistenza dello stato sia minacciata». Uno scenario reso più chiaro da 29 documenti segreti trapelati di recente, ma elaborati tra il 2008 e il 2015. Stando a quei carteggi la risposta nucleare si fa inevitabile a fronte di «perdite che non consentono di arrestare una aggressione» e determinano «una situazione critica per la sicurezza della Russia». Un concetto approfondito nel 2020 quando Putin firma l’«Ordine Esecutivo» intitolato «Fondamenta della politica di deterrenza nucleare». In quel documento l’opzione nucleare viene giustificata anche con la necessità di respingere attacchi caratterizzati da una «superiorità delle armi convenzionali» del nemico.
Una possibilità resa attuale dalla decisione di concedere all’Ucraina l’uso delle armi Nato per colpire i territori russi. Del resto ben due dei quattro scenari nucleari delineati nell’«Ordine Esecutivo» del 2020 riguardano la risposta ad attacchi convenzionali. Ed entrambi appaiono assai concreti. Quello che ipotizza attacchi capaci di compromettere la risposta delle forze nucleari si è già realizzato.
Solo una settimana fa, infatti, una formazione di droni ucraini ha distrutto un radar russo progettato per avvistare i missili nucleari. Ma altrettanto sinistro suona il paragrafo che autorizza l’impiego di ordigni tattici per fermare «aggressioni con armi convenzionali capaci di mettere a rischio l’esistenza dello stato». Lo «stato» russo nella visione del Cremlino non comprende solo i territori al confine con Kharkiv, ma anche le quattro regioni ucraine annesse dopo i referendum del settembre 2022.
Le condizioni formali per il passaggio della Russia allo scontro nucleare insomma già ci sono. Per evitarlo c’è solo da sperare che le armi Nato non costringano Putin ad affrontare una «questione di vita e morte». Perché in quel caso il presidente russo avrebbe ben poche esitazioni.