L’attore Alessandro Preziosi legge brani del celebre discorso pronunciato cento anni fa, nel 1924, per denunciare il pericolo fascista. Lo fa parlando in piedi, esattamente dallo stesso scranno occupato dal deputato socialista. È il giorno del centenario dell’intervento in aula di Giacomo Matteotti, un giorno che segnò la storia d’Italia, con l’inizio del regime.
La cerimonia organizzata alla Camera vuole rievocare la drammaticità di quel passaggio storico. Sullo scranno che fu di Matteotti viene apposta una targa e viene deciso che quella postazione non sarà più assegnata ad alcun deputato, «a perenne ricordo del suo sacrificio». In aula siedono le massime cariche dello Stato, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il vicepresidente della Consulta Giovanni Amoroso, la premier Giorgia Meloni, gli ex presidenti delle Camere. Sono presenti anche oltre trecento studenti tra cui la nipote del deputato socialista, Laura Matteotti, e la nuora, Zahra Haider Mohamed. Bruno Vespa introduce un filmato di Rai Cultura, seguito dall’intervento di Emilio Gentile. E poi irrompe la politica, con il commento più atteso della giornata, quello della presidente del Consiglio su cui inevitabilmente si appuntavano aspettative, cattivi pensieri e polemiche pronte a crepitare e ad animare il dibattito pubblico.
Alla prova dei fatti, invece, Giorgia Meloni coglie tutti in contropiede. «Il 30 maggio 1924, Giacomo Matteotti ha pronunciato nell’Aula della Camera il suo ultimo discorso, che gli sarebbe poi costato la vita. In quel discorso, Matteotti difese la libertà politica, incarnata nella rappresentanza parlamentare e in libere elezioni ricorda Meloni -. Oggi siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee. Onorare il suo ricordo è fondamentale per ricordarci ogni giorno a distanza di 100 anni da quel discorso il valore della libertà di parola e di pensiero contro chi vorrebbe arrogarsi il diritto di stabilire cosa è consentito dire e pensare e cosa no».
E poi conclude: «La lezione di Matteotti, oggi più che mai, ci ricorda che la nostra democrazia è tale se si fonda sul rispetto dell’altro, sul confronto, sulla libertà, non sulla violenza». Parole ferme, precise e scandite con attenzione. Una condanna che al suo interno contiene anche una stoccata diretta verso coloro che da sinistra pretendono di fare la selezione all’ingresso e di applicarla alla libertà di pensiero. Un pensiero condiviso anche da Gianfranco Fini che sottolinea come quelle parole rappresentino «la storia. D’altra parte Dumini, colui che guidava la squadraccia, era notoriamente iscritto al partito fascista».
Lorenzo Fontana ricorda invece l’impegno parlamentare del deputato Matteotti. «Sedeva in Parlamento dal 1919. Si era distinto per la sua instancabile attività in Aula e nelle commissioni. Già in precedenti interventi aveva contestato ai fascisti irregolarità procedurali. «Il lavoro alla Camera, come emerge anche dalle lettere all’amata moglie Vèlia, impegnò Matteotti fino allo stremo. Passava ore e ore in Biblioteca a preparare i suoi interventi alla Camera».
E ora una mostra ripercorrerà questa sua intensa attività. A partire proprio dalla sua amara considerazione, quella frase – «io il mio discorso l’ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per me» – segno della lucida consapevolezza del suo destino.