A doppia firma. Si scrive disegno di legge Meloni-Nordio, si legge separazione delle carriere. Dopo anni e anni di dibattiti, finalmente ci siamo. Il testo è stato portato ieri sera all’attenzione del presidente della Repubblica e sarà oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri convocato per le ore 13.
Dunque, le strade dei pm e quelle dei giudici si separano e questo per allineare la Costituzione e l’ordinamento al codice di procedura penale di stampo anglosassone introdotto con la riforma dell’88.
Il punto chiave è la creazione di due Csm. Due circuiti che, almeno nella versione attuale, non entrano mai in contatto. D’altra parte il processo alla Perry Mason è costruito sulla terzietà del giudice che è arbitro fra accusa e difesa, le due parti pronte a duellare. Questo in aula, perché l’architettura del sistema è pensata in un altro modo. Il nostro pm è un po’ Perry Mason ma contemporaneamente viene definito parte imparziale e cerca anche le prove dell’innocenza dell’indagato.
Al Csm oggi i pm votano con i rappresentati dei giudici e dunque possono far pesare il proprio orientamento su nomine e procedimenti disciplinari riguardanti appunto i magistrati che magari hanno bocciato le loro tesi in sentenza.
Un intreccio che dovrebbe saltare con il cambio di passo. Due consigli, dunque, composti per due terzi da togati e per un terzo da laici. I togati, in questa formulazione, saranno sorteggiati. Fra l’altro la Sezione disciplinare del Csm sparisce e viene introdotta un’Alta corte, passaggio importantissimo perché tutto il campo delicatissimo delle sanzioni deontologiche viene portato fuori dal Consiglio superiore della magistratura e dunque il «tribunale dei giudici» dovrebbe subire meno eventuali condizionamenti corporativi. I membri dell’Alta corte verranno designati per due terzi con sorteggio fra i membri di tutte le magistrature; l’ultimo spicchio sarà per metà di nomina parlamentare per il resto sarà scelto dal Quirinale.
Non viene invece toccato il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, come invece è nei sistemi accusatori. La maggioranza non se l’è sentita di mettere mano a questo capitolo infiammato che avrebbe generato polemiche feroci sulla presunta invasione di campo della destra al potere con Giorgia Meloni. Intendiamoci, le critiche sono già partite e pioveranno come grandine. Ma l’esecutivo ha voluto evitare lo scontro totale.
Anche il capitolo delicatissimo dell’accesso alla professione, un cavallo di battaglia di Forza Italia, è in qualche modo annacquato: per ora resta tutto come prima e il ddl indica la strada, tutta in salita, di una legge ordinaria per immaginare un nuovo percorso. Un punto critico della nuova norma perché la distinzione, per chi l’ha pensata, non dovrebbe essere solo funzionale – come già è nei fatti – ma anche culturale. Due profili alternativi, come ha scritto sul Foglio l’ex magistrato Piero Tony: «Cultura dell’investigazione e cultura della giurisdizione».
L’Anm da sempre è contraria: sostiene che oggi i pm hanno proprio la sensibilità che nasce dalla comune matrice e aggiunge che così finiranno fatalmente sotto il tallone dell’esecutivo. Nordio nega sdegnato, l’approccio è studiato per bilanciare le forze e adeguare l’ordine giudiziario al modello accusatorio.
Ancora, è da segnalare che il testo porta in Costituzione l’avvocatura, un vecchio sogno del Guardasigilli. Oggi comunque il ddl dovrebbe iniziare la sua lunga marcia, in consiglio dei ministri. Poi si passerà alla doppia lettura parlamentare, esattamente come sta succedendo per il premierato. Facile immaginare non solo il no dell’Anm, in tutte le sue componenti da destra a sinistra, ma anche del Pd e dei 5 Stelle in Parlamento.
Alcuni punti potrebbero essere oggetto di trattativa: il sorteggio secco, per l’accesso al Csm dei togati, potrebbe lasciare il posto alla versione
light del sorteggio temperato e il Csm potrebbe alla fine essere uno ma con due sezioni. Queste però sono solo ipotesi. Nessuno finora è mai riuscito a riformare la giustizia. Ci provano ora Carlo Nordio e Giorgia Meloni.