Fosse stato un film, avrebbero applaudito tutti per un quarto d’ora. Fosse stato un film, avrebbero tifato tutti per la protagonista che verso la fine va a prendersi la sua piccola e gustosa rivincita. Fosse stato un film di sinistra, il critico di sinistra avrebbe scritto di «ineluttabile nemesi», mentre, in un film di destra, il critico di destra avrebbe scritto «tiè» e gli sarebbe toccato il compito antistorico di ricordare (oltretutto) che lei è una donna e quindi vale doppio, diversamente dal tizio che è rimasto inceppato e che aveva (oltretutto) la fama di spiritoso. Nei film va così, ci si identifica in piccoli valori che poi fuori dal cinema ufficialmente si rinnegano, e si plaude chi ripaga con la stessa moneta, chi rende l’occhio per occhio, chi fa il ladro a casa dei ladri, la donna che rimette a posto l’uomo, il fragile che sistema il nerboruto, l’irriverente che si prende l’ultima spiazzante battuta: dopodiché, ora, giudicate voi quale dei due (lei o lui) il pubblico in sala avrebbe applaudito. Poi d’accordo, la vita non è un film, benché i film ne prendano le mosse: la vita è più seriosa e pallosa come lo è la politica, dove esiste un’etichetta (ecc. ecc.) e di sfondo non ci sono ragazzi in sedia a rotelle che giocano a tennis, o gli acrobati del parkour con lo skateboard, o dei campi sportivi nuovi di zecca, o dei giornalisti che titoleranno soltanto sulle parole che uno ha rivolto all’altro.
Nella vita, e nella politica, uno mantiene le promesse e poi gli dicono che ha fatto uno spot elettorale. Ma nella vita, e nella politica, uno dice anche «gioco, partita, incontro» e, per la prossima partita, ti dà appuntamento in Europa.