L’Ohio di Renew Europe si chiama Italia. È in casa nostra, infatti, che i liberali a trazione macroniana si giocano un fetta importante del loro futuro europeo. Non un dettaglio, perché cinque anni fa Renew contribuì a indirizzare la nomina del presidente della Commissione Ue. Insieme al Ppe e ai socialisti di S&D, infatti, diede vita alla cosiddetta «maggioranza Ursula» che portò all’elezione di von der Leyen. Nel 2019, però, Renew contava 108 europarlamentari, mentre gli ultimi sondaggi disponibili di Europe Elects gliene attribuiscono tra 74 e 90, con il rischio concreto di essere scavalcati sul terzo gradino del podio di gruppo più numeroso dai conservatori di Ecr, quotati tra 73 e 90 (Ppe e S&D saranno invece rispettivamente al primo e secondo posto).
Sulla forbice dei seggi potenziali di Renew, infatti, rischia di giocare un ruolo chiave l’Italia, tanto che nelle settimane scorse il presidente francese Emmanuel Macron ha chiamato e/o fatto chiamare sia Matteo Renzi che Carlo Calenda per fargli una educata lavata di testa e chiedergli di deporre le armi.
La questione è un po’ complicata e legata ai sistemi elettorali che sono diversi da Paese a Paese, esattamente come la data del voto. Sia Italia che Francia, però, prevedono una soglia di sbarramento (noi al 4%, loro al 5), a differenza per esempio di Germania e Spagna. Così, Macron ha avuto subito ben chiaro che lo scenario italiano rischia di penalizzare pesantemente Renew, riducendo il suo potere d’interdizione quando dopo il voto si decideranno i nuovi assetti comunitari. Certo, il presidente francese potrà sempre far valere il peso geopolitico dell’Eliseo (l’Europa è storicamente a trazione franco-tedesca, non solo politicamente ma anche nella burocrazia che governa Bruxelles e Strasburgo). Ma i numeri effettivi restano comunque decisivi. Di qui la telefonata a Renzi e Calenda per cercare lumi su qualcosa che a Parigi resta incomprensibile: perché Italia viva e Azione corrono da sole col rischio di restare fuori dal Parlamento Ue?
Visto con gli occhiali di casa nostra è piuttosto facile comprendere come l’incompatibilità sia soprattutto umana e personale. Ma Macron, con qualche ragione, pare non sia stato troppo comprensivo. Secondo l’ultima supermedia di YouTrend prima del black out sui sondaggi, Stati Uniti d’Europa (dove insieme a +Europa corre la renziana Italia Viva) starebbe al 4,3%, mentre Azione di Calenda al 3,9. Insomma, una partita sul filo di lana. Con un dettaglio non indifferente: se entrambi si fermassero sotto il 4% anche solo per pochi decimali, non solo non porterebbero a casa neanche un parlamentare (e così il gruppo di Renew) ma i voti non assegnati finirebbero proporzionalmente spalmati sui partiti che superano la soglia. Quindi, sintetizzando, andrebbero a ingrassare soprattutto Fratelli d’Italia, che tutti i sondaggi danno ampiamente come primo partito in Italia (non a caso a via della Scrofa sono convinti di poter andare oltre i 23 seggi che gli attribuisce l’ultima rilevazione di Europe Elects).
Di qui il fastidio di Macron. Che per una piccola guerriglia tutta italiana rischia di perdere 8-9 eurodeputati, con l’ulteriore beffa di vederli redistribuiti proporzionalmente sugli altri partiti (di cui 2-3 a Fdi, quindi ai conservatori di Ecr). Con Renew europe che, peraltro, proprio in questi giorni è alle prese con una crisi senza precedenti con i liberali olandesi di Vvd, partito del premier uscente Mark Rutte (destinato alla poltrona di Jens Stoltenberg come prossimo segretario generale della Nato). Nonostante il Volkspartij voor Vrijheid en Democratie sia da anni un pilastro della famiglia liberale europea, infatti, il via libera di Rutte a un accordo di governo a Amsterdam con Geer Wilders, il leader islamofobo e antieuropeo del Pvv, ha acceso un feroce scontro dentro Renew, con la capodelegazione macroniana Valérie Hayer che ha annunciato per il 10 giugno – il giorno dopo le Europee – una riunione del gruppo per chiedere l’espulsione di Vvd (quotata da Europe Elects a 5 eurodeputati).
Insomma, per Macron due discreti grattacapi.
E per Giorgia Meloni la possibilità concreta del sorpasso di Ecr su Renew, che potrebbe spostare verso destra gli equilibri che porteranno a indicare il nome del prossimo presidente della Commissione Ue. Sempre in quota Ppe, certo. Ma magari più gradito all’area di centrodestra destra.