La combinazione tra odio nei confronti dell’Occidente, anti sionismo e avversione aprioristica al governo di centrodestra ha dato vita nelle ultime settimane a una saldatura tra collettivi, centri sociali e transfemministe culminata nella giornata di ieri in una doppia manifestazione a Milano e Roma.
Per le strade di Milano ha sfilato il corteo dell’intifada studentesca «contro il genocidio del popolo palestinese e per recidere ogni collaborazione tra università italiane e israeliane» con vari ospiti che si sono alternati ripetendo frasi e slogan ormai noti. Oltre alla richiesta di un «cessate il fuoco immediato e permanente» contro «l’assedio sionista», tra le rivendicazioni degli organizzatori c’è «il rilascio delle migliaia di ostaggi palestinesi rastrellati e chiusi nei campi di detenzione». Peccato nelle motivazioni che hanno spinto a indire la manifestazione non si faccia nessun riferimento agli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas.
Nella capitale è invece andato in scena (così come in altre città) il «maggio transfemminista» promosso dal movimento «Non Una di Meno» con lo slogan «sul mio corpo decido io» e «contro il governo che apre le porte dei consultori a obiettori e antiabortisti».
L’iniziativa con cortei, passeggiate e sit-in mette al centro «la difesa dei consultori, del diritto all’aborto e alla salute pubblica» con l’obiettivo di «difendere i diritti conquistati che vengono messi in discussione e per pretenderne di nuovi». Oltre al fatto che il governo non ha mai parlato di modificare la legge 194 ma di applicarla nella sua interezza, colpisce la grande ipocrisia alla base delle rivendicazioni transfemministe.
Lo stesso movimento che partecipa all’acampada delle tende a La Sapienza inneggiando alla Palestina, in Italia dice di voler difendere i diritti delle donne. Peccato che per Hamas questi diritti non esistono e, nelle occupazioni delle università italiane come a Torino in cui si svolgono le preghiere islamiche, le donne vengono divise dagli uomini con una rete.
Lecito perciò chiedersi se la rabbia «contro il governo che attacca il diritto all’aborto, i consultori, la salute delle persone trans, la sanità territoriale e lo stato sociale con continui tagli e definanziamenti a favore dell’industria bellica, della famiglia eterocisnormata e di un sistema economico capitalista, estrattivo e coloniale» valga anche per la Palestina.
Domanda che andrebbe posta anche alla Casa delle donne di Milano che sul proprio sito ha promosso il corteo pro Palestina.
Purtroppo contraddizioni e ipocrisie non sono destinate a terminare ma sono già state annunciate iniziative per i prossimi giorni a partire da lunedì all’Università Statale per il presidio al senato accademico con la richiesta di «recidere tutti gli accordi con la Reichmann University e le altre accademie strumento di morte e colonialismo».