Gli antiabortisti non possono entrare nei consultori di Firenze. Questo è quel che sostengono le attiviste del movimento femminista e transfemminista “Non Una di Meno”, che nelle scorse ore si sono rese protagoniste di un’azione di protesta dai tratti surreali che appare al limite del vandalismo: l’accesso ai consultori cittadini era infatti simbolicamente interdetto a seguito della posa di nastro segnaletico, mentre alcuni cartelli affissi sulle porte vietavano di entrare nelle strutture in questione a chiunque non fosse favorevole all’aborto. Sono state le stesse femministe a rivendicare il “blitz” sulla pagina Facebook della sezione fiorentina del movimento: sostengono di aver agito a seguito dell’approvazione in Senato del 23 aprile scorso dell’emendamento al decreto legge 19 del 2024, che prevede per le regioni la possibilità di collaborare con associazioni antiabortiste per l’organizzazione dei servizi dei consultori.
Una possibilità che a detta delle militanti di Non Una di Meno non deve nemmeno essere presa in considerazione, a quanto pare: per questo si sono recate nottetempo davanti ai consultori del territorio comunale, fissando del nastro davanti all’ingresso di ogni struttura. Ed affiggendovi alcuni cartelli polemici, attaccando gli antiabortisti. “Vietato l’ingresso agli antiabortisti” si legge su alcuni fogli lasciati dalle attiviste, accanto ad altri che rivendicano il diritto di scelta (“Sui nostri corpi decidiamo noi”). “Questa mattina tutti i consultori pubblici di Firenze si sono svegliati con un messaggio chiaro. Il nastro rosso e bianco chiude simbolicamente i cancelli d’ingresso dei consultori, per ribadire che nonostante gli emendamenti e le decisioni delle Regioni, tutti i presidi di salute devono garantire le libertà di scelta e l’autodeterminazione, e vietare invece l’ingresso a tutti quei gruppi che attaccano la libertà di scelta e l’autodeterminazione – si legge nel comunicato, nel quale spicca l’utilizzo dello “schwa” – la legittimazione nazionale delle associazioni antiabortiste per operare nei consultori si colloca in una realtà già tragica.
I finanziamenti pubblici ai consultori privati gestiti da associazioni cattoliche e antiabortiste esistono da tempo in Piemonte, Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia mentre quelli pubblici vengono chiusi, svuotati di personale, inglobati nelle case della salute, privandoci di strutture socio-sanitarie gratuite, laiche, aperte e accessibili a tuttə”.
Per le attiviste del movimento insomma, non sembra nemmeno esserci bisogno di far sì che le donne che accedono al consultorio siano messe a livello informativo nelle migliori condizioni possibili, prima di decidere: basta che non entri chi non condivide tutte le istanze del movimento, a quanto pare.