Il filo è ancora sottile e solo a urne aperte si saprà davvero se e quanto sarà in grado di sopportare sollecitazioni che fino a qualche mese fa sembravano impensabili. Di certo, a meno di tre settimane dalle elezioni Europee, sono in tanti a tessere la tela e guardarsi intorno. A partire dall’eurodestra, divisa a Strasburgo nelle due grandi famiglie dei Conservatori di Ecr (in cui milita Fdi) e dei sovranisti di Identità e democrazia (a cui aderisce il Rassemblement national di Marine Le Pen e la Lega di Matteo Salvini, ma anche i cripto-nazisti di Alternative für Deutschland). Domenica scorsa, la convention madrilena di Vox è stata l’occasione per provare a confrontarsi sullo stesso campo di gioco, facendo tutti molta attenzione a sottolineare i punti di contatto ed evitando accuratamente i fronti più divisi: da un’eventuale collaborazione con il Ppe alla difesa dell’Ucraina dall’aggressione di Mosca, questione su cui le posizioni divergono e non poco. Il tutto, escludendo dalla kermesse Afd, che Vox e Ecr hanno scelto di non invitare.
Sul palco, tra gli altri, sono sfilati Meloni, Le Pen, il polacco Mateusz Morawiecki (Pis), il premier ungherese Viktor Orbán (Fidesz), lo spagnolo Santiago Abascal (Vox), il portoghese André Ventura (Chega) e pure il presidente argentino Javier Milei. La premier italiana lo ha fatto con un collegamento in diretta di quindici minuti, evitando di essere presente di persona anche per ragioni di opportunità istituzionale. Scelta saggia, altrimenti si sarebbe trovata nella scomoda posizione di essere l’unico capo di governo in prima fila ad ascoltare Milei che attaccava il premier spagnolo Pedro Sánchez aprendo una vera e propria crisi diplomatica tra Madrid e Buenos Aires.
Eppure, in Italia l’intervento di Meloni ha suscitato dure critiche da parte delle opposizioni, nonostante i toni fossero sì identitari – come è logico che sia in una kermesse di partito – ma senza particolari affondi polemici. D’altra parte, come tutti, anche Meloni – che di Ecr è presidente – si sta guardando intorno. E sta nelle cose che sia lei che Le Pen abbiano deciso di mettere da parte le incomprensioni del passato e aspettare di vedere cosa succede dopo il voto. Se Meloni aspira infatti ad allargare il fronte della destra per avere più peso quando necessariamente dovrà sedersi al tavolo con il Ppe (che in Ue resterà ampiamente il primo partito), Le Pen ha invece la necessità di sganciarsi dagli impresentabili di Afd, perché allearsi anche la prossima legislatura con l’ultra destra tedesca comprometterebbe in partenza la sua corsa all’Eliseo nel 2027. I segnali di allontanamento in questi mesi sono stati diversi e ieri il presidente del Rassemblement national, Jordan Bardella, ha formalizzato pubblicamente la rottura. «Rn ha preso la decisione di non sedere più al Parlamento europeo con Afd», dice alla France Presse.
La notizia fa rumore, perché – sondaggi alla mano – Rn sarà il primo partito di Francia e ambisce a una delegazione europea di 27-28 parlamentari. Chiudere le porte a Afd (quotato a 16-17 seggi) significa necessariamente aprire la strada a un rimescolamento degli equilibri all’interno dell’eurodestra, certamente a un avvicinamento tra le due famiglie europee. Id sta infatti valutando di espellere Afd dal gruppo e questo attenuerebbe di molto il cordone sanitario che ha fino a oggi circondato Identità e democrazia. Salvini ha fatto sapere di condividere le parole di Bardella, perché «come sempre sono allineato e concorde con Marine». Anche se è chiaro che la Lega (quotata 7-8 europarlamentari) è costretta a muoversi di risulta. Con Le Pen e Meloni (Fdi è data a 23-24 parlamentari, che potrebbero però salire nel caso più partiti in Italia non raggiungano il quorum) a dare evidentemente le carte. Certo, oggi è difficile immaginare come finirà la partita. Perché se Le Pen restasse dentro Id, perdere i 16-17 seggi di Afd significherebbe essere ridimensionati nei numeri e nelle aspirazioni. Ma anche una convergenza con Meloni avrebbe le sue insidie, visto che la premier italiana è presidente di Ecr e Fdi è destinato ad essere primo partito della delegazione. Si dovrebbe ragionare, eventualmente, su un nuovo contenitore, cosa che al momento non sembra sul tavolo. Meloni, infatti, ha investito molto su Ecr, facendola diventare in questi anni una destra europea, ben lontana dagli eccessi anche linguistici di Id. E allargare troppo il perimetro sarebbe rischioso.
Di certo, invece, senza l’Afd si aprirebbe un canale di dialogo costante tra Ecr e Id (che sarebbe numericamente meno rilevante, ma a trazione francese), con l’obiettivo di muoversi d’intesa nella partita sulle nomine dei futuri vertici delle istituzioni Ue.