L’affondo arriva a fine puntata, nell’ormai classico “Tavolo per due” tra Giuseppe Cruciani e Nicola Porro. I due conduttori in chiusura di Quarta Repubblica toccano tutti i temi della settimana, da Chico Forti al caso Liguria, da Vannacci alla cattura di Fleximan. Ma a scaldare la serata è soprattutto la scelta dei giudici ungheresi di concedere ad Ilaria Salis i domiciliari a Budapest come da istanza presentata dai legali della neo candidata di Avs.
Due giorni fa, l’insegnante accusata di aver aggredito dei presunti neo-nazisti ungheresi ha rilasciato un’intervista alla Stampa in cui rivendicava la sua innocenza (legittimo), chiedeva di non “processare” le sue idee (e chi lo fa?) e assicurava di sentirsi dalla parte giusta della storia (vedremo). “In questa storia – attacca però Nicola Porro – c’è una faccenda da cui non riesco ad uscire”. La domanda è: “Ma l’Italia ha fatto qualcosa per farla uscire dal carcere oppure no, come dice il padre?”. Perché forse qualcuno dimenticherà che per mesi i media italiani hanno puntato il dito contro una magistratura, quella ungherese, accusata di essere schiava di Orban e del suo presunto regime. “Anche questa è una clamorosa presa per i fondelli – insiste il vicedirettore del Giornale – I magistrati ungheresi si sono dimostrati indipendenti, non vittime di uno stato tecnocratico e hanno fatto come diavolo pareva a loro”. Poi certo, il ministro e l’ambasciata avranno sicuramente spiegato a Budapest le ragioni italiane. E in Ungheria l’eco delle proteste dei giornali italiani sarà anche arrivata, per quanto attutita. Ma la verità è che “qui la sconfitta è di quelli che urlavano alla deriva orbaniana” mentre i giudici magiari si sono dimostrati indipendenti.
È d’accordo anche Cruciani. Che poi aggiunge: “Mi dà fastidio il paragone che fanno a sinistra dicendo: ‘Siccome vi siete spesi tanto per Chico Forti, che è un condannato per omicidio, lo stesso non avete fatto per la Salis’”. Il conduttore della Zanzara è convinto che sia stato giusto assegnare i domiciliari alla Salis, visto che stiamo parlando di una carcerazione preventiva in attesa – da oltre un anno – che si celebri il processo. Però quello di Forti e quello della maestra “sono due casi diversi”, per storia e per sistemi giudiziari coinvolti.
Inutile paragonarli.