Alla fine l’ha spuntata e la decisione arrivata dal Tribunale monocratico di Roma le ha dato carburante per tornare alla carica contro il governo di centrodestra. Donatella Di Cesare, prosciolta dopo aver tirato in ballo l’appellativo di “governatore neo-hitleriano” in riferimento al ministro Lollobrigida – è ancora più rinvigorita e ha deciso così di sferrare un altro attacco nei confronti dell’esecutivo di centrodestra. La professoressa di filosofia dell’Università La Sapienza non ha deluso le aspettative e, tirando fuori il copione un po’ stropicciato, ha recitato le solite battute che da tempo vengono indirizzate a Giorgia Meloni come se rappresentasse un serio pericolo per la democrazia in Italia.
Di Cesare non ci ha pensato due volte e ha commentato in maniera trionfante l’esito favorevole del processo. Ovviamente ripetendo la classica storiella: “Un argine è stato innalzato contro il postfascismo meloniano“. Anche se in realtà le va dato atto di aver leggermente modificato la narrazione a cui ci ha abituato la sinistra in questi mesi: solitamente il fronte rosso parla di fascismo, dunque è da apprezzare l’encomiabile sforzo della professoressa nel differenziarsi grazie a quel “post” che sicuramente avrà l’effetto di farla distinguere nel folto esercito di chi critica il governo ponendo gli occhi a un passato nero che non tornerà.
Di Cesare era stata rinviata a giudizio per diffamazione dopo una querela presentata per le parole pronunciate su Francesco Lollobrigida. I fatti risalgono a circa un anno fa, precisamente al 18 aprile 2023, quando il ministro dell’Agricoltura aveva invitato a non arrendersi alla sostituzione etnica. Un’uscita su cui si era scatenata la bufera (con la sinistra pronta a parlare di razzismo e di suprematismo) e su cui la professoressa si era espressa con termini che fin da subito avevano fatto discutere: “La sostituzione etnica è un mito complottistico, è il cuore dell’hitlerismo. Credo che le parole del ministro non possano essere prese per uno scivolone, perché ha parlato da governatore neo-hitleriano“.
Una dichiarazione al veleno ma, stando al parere del giudice monocratico di Roma, “il fatto non costituisce reato“. E così è stata prosciolta Di Cesare, il cui auspicio è che l’esito del processo possa costituire un precedente e rappresentare un segnale chiaro: “Fare dell’avversario politico un nemico da punire significa avere strani e inquietanti progetti per questo paese. Oggi però ho percepito che c’è un’Italia che non arretra, non accetta disegni autoritari, né tanto meno idee razziste come la sostituzione etnica“.
La democrazia sta nel confronto aperto anche nei toni fortissimi e critici, certo, ma era davvero indispensabile ricorrere all’etichetta di neo-hitleriano? Libera Di Cesare, liberi gli italiani di commentare un giudizio del genere verso un governo democraticamente eletto.