Parla il King della 104: “Ora basta col politicamente corretto sui disabili”

Parla il King della 104: “Ora basta col politicamente corretto sui disabili”

Se c’è qualcuno che odia il politicamente corretto in Italia più del generale Roberto Vannacci, quello è Emanuel Cosmin Stoica. 24 anni, praticante avvocato e King della 104, la legge sulla disabilità.

Perché ce l’hai così tanto con il politicamente corretto?



Il politicamente corretto sarà anche un concetto che nasce con buone intenzioni ma, purtroppo, distorce la realtà di chi ogni giorno vive con la disabilità. Perché? I disabili possono essere eroi, possono essere vittime, ma questo non rappresenta la complessità e nemmeno l’umanità di quelle persone. Noi disabili veniamo messi o su un piedistallo o relegati al ruolo di soggetti da compatire. Questo non è giusto, non è vero ma non è nemmeno utile per la narrazione. Non siamo supereroi. La vita di una persona con disabilità è fatta sì di momenti di forza, ma è anche fatta di momenti di fragilità. Ci sono successi, ma anche tante lotte da affrontare. È evidente che non bisogna nascondere né il successo né le lotte.

Quindi cosa fa il politicamente corretto?

Nasconde una delle due facce. Quindi si dice: “Non bisogna dire che i disabili faticano di più degli altri”. Non è vero, perché a volte fatichiamo di più rispetto ad un’altra persona. Allo stesso tempo, tuttavia, non bisogna nemmeno che le persone ci facciano applausi per la più piccola cazzata. Parlo del mio caso: mi sono laureato quasi col massimo dei voti in giurisprudenza e l’ho fatto nei tempi corretti. È la dimostrazione più giusta che anche una persona con disabilità può fare le cose come gli altri e che non per forza gli daranno un 110 solo perché disabile. Con il politicamente corretto si va a ridurre l’essenza della disabilità. Bisogna dire anche che il fatto di essere viste come persone da trattare con pietismo (“il poverino”) alimenta stereotipi che noi, come società e nazione, dobbiamo superare.

Ha quindi ragione il generale Vannacci?

Dire l’ovvio come fa Vannacci, cioè che ci sono persone con disabilità che a livello scolastico hanno bisogno di attenzione, è una cosa, appunto, ovvia. Il politicamente corretto si è subito scandalizzato. Ma una persona disabile è tale perché ha una disabilità, e quindi ha bisogno di metodi alternativi. Ci sono tanti tipi di disabilità, ma nel mio caso non ho avuto programmi ridotti durante il percorso scolastico. Non prendevo però appunti su carta. Usavo il pc. Ho fatto la maturità usando il computer. Questo avviene anche nei concorsi pubblici: una persona con disabilità, che ha bisogno di assistenza per trascrivere il compito su carta, viene aiutata da un funzionario pubblico in caso di concorso.

Quindi?

È ovvio che una persona con disabilità abbia bisogno di aiuto. Purtroppo non ci sono risorse per assistere nel migliore dei modi gli studenti con disabilità. Quindi dico: meno male ci sono persone come Vannacci che, pur dicendo ovvietà, dicono cose razionali. Si fa fatica a parlare di disabilità perché si diventa buonisti e adottiamo misure inutili. Se oggi vediamo come funziona l’assistenza ai disabili nelle scuole, la prima cosa che si dice è che mancano gli insegnanti di sostegno. Ma ci sono persone che hanno bisogno di una persona per tutte le ore settimanali, altre che hanno invece bisogno di meno assistenza. Io avevo 18 ore, cioè la metà di quelle che svolgevo. L’assistenza, nel mio caso, consisteva nell’avere un professore accanto a me che prendeva appunti su quel che gli dicevo io. In altri casi quel professore deve impegnarsi a fare un programma diverso, o magari uscire dalla classe con la persona, proprio perché quella persona non riesce ad affrontare lo stesso programma. Anche qui: è ovvio che nei momenti di socializzazione, di gruppo, dove possibile, si debba far rimanere quella persona in classe però spesso sono i genitori stessi degli alunni con gravi disabilità a chiedere un metodo diverso di insegnamento per i propri figli.

E questo perché magari quella disabilità è incompatibile con il sistema di insegnamento nazionale.

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