Tutto Capa, in trecento scatti. Il Museo Diocesano Carlo Maria Martini dedica una grande retrospettiva a uno dei più significativi fotografi del Novecento, quel Robert Capa (all’anagrafe Endre Friedmann) che, nato a Budapest nel 1913, fu testimone in prima linea della guerra civile spagnola, della resistenza cinese a Hong Kong, degli snodi cruciali della Seconda Guerra Mondiale dove, inviato della prestigiosa rivista americana «Life», seguì la campagna degli Alleati in Nordafrica, la liberazione della Sicilia (regalandoci uno dei suoi scatti più noti: quello di un soldato che chiede indicazioni a un contadino siciliano).
E poi qui entriamo nell’epica del fotoreportage Capa ha immortalato anche lo sbarco in Normandia: con la prima ondata americana approda su Omaha Beach, oggi si direbbe da embedded. Leggenda narra che spedì in modo fortunoso i primi scatti alla redazione londinese di «Life», ma ad accogliere il pacco, in un’epoca in cui erano le foto dal fronte a raccontare al mondo gli eventi, c’era un apprendista poco esperto che li sovraespose nello sviluppo, alterandone la messa a fuoco. Oggi quegli scatti «mossi», per cui Capa si arrabbiò moltissimo (come molti fotografi, era maniacale) hanno fatto la storia e sono esposti, valorizzati in un efficace allestimento, al Diocesano in «Robert Capa. L’Opera 1932-1954», mostra curata da Gabriel Bauret, realizzata in collaborazione con Magnum e prodotta da Silvana Editoriale. «È stato difficile fare la selezione ci ha detto il curatore -: abbiamo voluto presentare tutte le opere iconiche, ma anche quelli che chiamo gli scatti laterali. Capa amava riprendere la stessa scena da diverse angolature e punti di vista. Non mancava mai di empatia verso il soggetto che riprendeva». Fotografo di guerra che credeva nella pace, passionale e ostinato, con intuito notevole per l’epoca fondò nel ’47 con Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert l’agenzia fotografica Magnum. Per la prima volta i fotografi diventavano proprietari dei diritti di pubblicazione dei loro scatti: una rivoluzione. «Capa non è solo un fotografo della grande storia, ma di tante piccole storie commenta Nadia Righi, direttrice del Diocesano -: certi suoi scatti, come quelli dedicati ai soldati tedeschi vinti sul campo sottolineano la complessità della guerra e sono utili a tutti per riflettere anche su quanto accade oggi nel mondo». Suddivisa in nove sezioni, la retrospettiva ci regala anche chicche inaspettate, come le foto «glam» dell’attrice Ingrid Bergman, con cui Capa ebbe una relazione di due anni dopo la guerra. Il percorso si chiude con i suoi ultimi dispacci dall’Indocina: qui il 25 maggio di 70 anni fa, a soli 41 anni, Capa morì improvvisamente in un campo nel Vietnam del Nord, perché una mina gli esplose sotto i piedi.
Mostra imperdibile, dunque: apre martedì 14 e chiude il 13 ottobre, ma grazie all’iniziativa «This is my Milano» sostenuta da Dils, si potrà visitare in via eccezionalmente gratuita già questa domenica, dalle 10 alle 22, tra i chiostri allestiti del museo.