Schlein con il no al Jobs act ha epurato l’ala riformista

Schlein con il no al Jobs act ha epurato l'ala riformista

Elly Schlein parla di ricucitura. Ma il referendum, promosso da Landini contro il jobs act, legge voluta dal governo Pd, terremota il partito. La segretaria silenzia l’ala riformista e porta i democratici sulle posizioni landiniane. Tutta la sinistra blairiana, da Veltroni in poi, è sepolta. La mossa di Schlein di firmare i quesiti Cgil contro il jobs act innesca il corto circuito. La segretaria si inventa la figura del segretario a titolo personale e lascia libertà di coscienza ai dirigenti. Una novità assoluta. Invenzione che non spegne la polemica. I malumori serpeggiano nelle chat. Lorenzo Guerini, anima della corrente riformista, mette agli atti il no all’iniziativa di Landini. Altri optano per un profilo basso. Schlein però insiste: «Noi guardiamo sempre con interesse alle iniziative del sindacato…. non è una sorpresa, ho detto sempre che tanti del Pd avrebbero firmato e naturalmente anche io che già nel 2015 ero in piazza con la Cgil contro l’abolizione dell’articolo 18». E rivendica: «Era un punto fondamentale della campagna che abbiamo fatto alle primarie l’anno scorso, un punto anche di ricucitura rispetto ad alcune scelte sbagliate del passato su cui evidentemente anche alcuni nostri elettori ci hanno premiato». Giorgio Gori, altro riformista in imbarazzo, riconosce alla segretaria la coerenza. Stefano Bonaccini, candidato capolista nel Nord Est per il Pd, è il più impacciato. E prova a metterci una pezza: «Il Pd non si schiera sul referendum proposto dalla Cgil su cui ciascuno è libero di firmare o meno sugli specifici punti. Compresa l’abolizione del jobs act. L’importante è che il partito sia unito sulle battaglie da portare in Parlamento, a cominciare dal salario minimo». Un capitolo a parte, merita l’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando che rinnega il passato nei governi Renzi e Gentiloni: «Ci sto riflettendo se firmare o no. Premesso che i deputati non sono obbligati a firmare un referendum, credo comunque che sia importante aver posto la questione su una materia sulla quale, peraltro, da anni la Corte Costituzionale sprona il legislatore a intervenire. Faccio poi notare che il Jobs Act non è il solo oggetto del referendum, poiché sono quattro i quesiti e due di questi riguardano altri temi, come per esempio la sicurezza sul lavoro» osserva Orlando.

Il lettiano Alessandro Alfieri, come Guerini, sfida la segretaria: «Io sono sempre dell’avviso che bisogna guardare avanti, al futuro, concentrandoci sulla legge di iniziativa popolare sul salario minimo e sulla battaglia per la difesa della sanità pubblica. Quindi, non firmerò per il passato, pur rispettando la scelta di chi lo farà. Preferisco firmare per il futuro e per ciò che unisce tutta la comunità democratica». Anche il governatore della Toscana Eugenio Giani non mette il petto fuori: «Quando questo argomento sarà affrontato nelle sedi di partito anch’io mi farò meglio un’idea e potrò esprimere la mia opinione». Si schiera al fianco di Schlein l’ex sindaco di Bologna Virginio Merola: «Ho firmato. Si sono creati troppi lavoratori precari. La flessibilità è diventata precarietà, l’aumento dell’occupazione c’e’ perche’ i salari sono estremamente bassi. Non si puo’ competere su questo con il resto del mondo, quindi occorre rivedere le normative». I riformisti del Pd incassano il colpo di mano di Schlein e della sua brigata. I renziani godono e mettono il dito nella piaga: Schlein firma referendum contro la storia del Pd.

La sinistra riformista è ufficialmente morta.

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