Se la diagnosi fosse stata corretta, probabilmente la vita della signora Stella si sarebbe potuta salvare. Purtroppo così non è stato dal momento che, stando a quanto denunciato dalla famiglia di una 61enne morta lo scorso marzo, i medici dell’ospedale di Treviglio avrebbero scambiato un tumore per una banale lombalgia, e la donna è morta nel giro di tre mesi. I figli sono ancora increduli per l’accaduto, anche a causa di ciò che si sono sentiti dire all’Istituto dei Tumori di Milano: “Se fosse stata fatta in tempo la diagnosi esatta, anche solo qualche settimana prima di quanto poi effettivamente accaduto, le cose sarebbero potute andare diversamente”.
Come ricostruito dal Corriere della Sera, tutto sarebbe iniziato con il primo accesso al pronto soccorso dell’ospedale di Treviglio, avvenuto lo scorso 17 dicembre. La signora Stella è morta dopo appena cento giorni dall’inizio del proprio calvario, lasciando nello sconforto i famigliari, che ora chiedono giustizia. Assistiti dall’avvocato Massimo Trabattoni di Milano, Monica e Andrea hanno denunciato per omicidio colposo tre medici dell’ospedale e l’Asst Bergamo Ovest: oltre al dolore per la perdita dell’adorata madre, per salvare la vita della quale hanno tentato di tutto fino all’ultimo istante, resta lo choc per l’errata diagnosi, che non ha consentito di agire per tempo. Il tumore, di 5 centimetri per 4, è stato rilevato solo dopo un mese grazie a una Tac con mezzo di contrasto.
“Mamma non aveva mai accusato alcun disturbo, ma a metà dicembre lamentava dei forti dolori ad una gamba, così abbiamo deciso di accompagnarla al pronto soccorso dell’Ospedale di Treviglio”, ricordano i figli. La diagnosi, arrivata dopo una rx nella zona rachide-lombo-sacrale, parla di una semplice lombalgia. Stella viene rimandata a casa, ma la situazione peggiora. La signora accusa dolori lancinanti, che la portano addirittura a piangere, nonostante che avesse “una soglia del dolore altissima”.
Il 4 gennaio la 61enne torna in ospedale. “La mamma stava davvero male, e chiedeva un antidolorifico”, racconta Andrea.“Non ne ha in borsa uno? Le ha detto un infermiere. Bene, allora lo prenda”. Ancora una volta, e basandosi solo sull’esito della rx fatta in precedenza, la donna viene dimessa con zero giorni di prognosi e senza che vengano richiesti degli accertamenti. Un medico amico di famiglia intuisce il pericolo e consiglia di agire il prima possibile: la risonanza magnetica fatta il 16 gennaio evidenzia la “presenza di tessuto patologico espansivo ossifluente”. Sono delle metastasi del tumore che viene scoperto dopo la tac fatta il 23 gennaio.
La famiglia si rivolge allora all’Istituto dei Tumori di Milano il 29 gennaio: la diagnosi è quella di un“adeno carcinoma polmonare al quarto stadio plurimetastatico con carcinosi peritoneale”. Il mondo crolla addosso ai familiari di Stella, che tentano di salvarle la vita procedendo con un ciclo di cure sperimentali. Purtroppo è tutto inutile, e il quadro clinico precipita.“A fine febbraio non riusciva già più ad alzarsi dal letto, ma l’avrei portata in cima al mondo. Ero disposto a fare di tutto per lei. Mi avevano parlato di un centro specializzato in Toscana e di specialisti al Gemelli di Roma. L’elicottero per portarla a curarsi era già pronto”, spiega ancora Andrea.
Ma a fare ancora più male è il fatto che, come specificato dagli specialisti, una diagnosi precoce avrebbe potuto salvare la vita a Stella: “Il ritardo della diagnosi errata dei medici di Treviglio ha causato gravi conseguenze, dal momento che la malattia era avanzata in modo irreversibile”, spiegano i figli.
“Perché la mamma non fu sottoposta ad accertamenti più approfonditi fin dal primo momento? Quello che ci ha spinti a denunciare è la speranza che una cosa del genere non accada mai più”, dicono in conclusione Andrea e Monica.