L’onta del riciclaggio per l’ex leader di An. 2 anni e 8 mesi a lui e 5 alla sua compagna

L'onta del riciclaggio per l'ex leader di An. 2 anni e 8 mesi a lui e 5 alla sua compagna

Non sono gli otto anni che aveva chiesto l’accusa, ma neppure l’assoluzione che si aspettava la difesa. L’ex presidente della Camera Gianfranco Fini si lascia alle spalle il primo soffertissimo round del processo per la vicenda della casa di Montecarlo – un caso nato da un’inchiesta de il Giornale che accelerò la fine della sua carriera politica – con una condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione per aver autorizzato la vendita dell’appartamento di boulevard Princesse Charlotte donato ad Alleanza Nazionale dalla contessa Anna Maria Colleoni per finanziare la «buona battaglia» politica della destra. Una condanna per riciclaggio che i suoi legali confidano di poter cancellare in appello. Una sorta di «concorso morale» nella condotta illecita, prova ad interpretare la sentenza l’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi subito dopo la lettura del dispositivo. Decisione che il collegio difensivo considera «pilatesca». Sicuramente distante dagli otto anni chiesti dal pm Barbara Sergenti.

Pene più severe, anche se inferiori a quelle sollecitate dalla Procura, per gli altri imputati: 5 anni (invece di 9) alla compagna Elisabetta Tulliani, che in una delle ultime udienze aveva cercato di scagionare Fini dicendo che era stato tenuto all’oscuro dell’operazione immobiliare; 6 anni (invece di 10) al fratello Giancarlo, (latitante a Dubai) che ha gestito tutta l’operazione acquistando la casa attraverso società off-shore riconducibili all’imprenditore Francesco Corallo, noto come il «re delle slot machine», accusato a sua volta di associazione a delinquere finalizzata al peculato, riciclaggio ed evasione fiscale, ma uscito prescritto dalla vicenda lo scorso marzo. Il padre dei due Tulliani, Sergio, è stato condannato a 5 anni, come aveva chiesto l’accusa, e il collaboratore di Corallo, Rudolf Theodor Baetsen, a 8.

L’elegante appartamento monegasco venne acquistato nel 2008 da Giancarlo Tulliani per 300mila euro, un prezzo molto più basso del suo valore reale, per essere rivenduto nel 2015 a un milione 360mila euro. Il denaro – per i pm in parte frutto dell’evasione di Corallo – era arrivato tramite diversi passaggi da una società offshore del re delle slot, in quel periodo vicino a Fini ma soprattutto ai Tulliani, per essere riciclato. L’ex leader di An si è sempre dichiarato all’oscuro di tutto, sostenendo di essere stato ingannato dalla compagna e dal fratello. Solo nel 2010 avrebbe scoperto che il cognato era diventato proprietario della casa. E lo scorso 18 marzo in aula Elisabetta lo aveva difeso in lacrime, dicendo di aver nascosto a Fini la volontà del fratello di comprare la casa e la provenienza del denaro. Il Tribunale ha sostanzialmente recepito l’impianto accusatorio della Procura, che ai cinque muoveva l’accusa riciclaggio, l’unica rimasta in piedi dopo l’udienza di febbraio in cui i giudici avevano dichiarato prescritta l’associazione a delinquere, reato che non coinvolgeva Fini. Prescrizione legata all’esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Ieri l’ex presidente della Camera è stato riconosciuto responsabile di aver autorizzato la vendita dell’appartamento, ma gli avvocati sono certi che in appello verrà chiarito anche questo aspetto. Sempre che nel frattempo non intervenga la prescrizione.

«È da valutare, bisogna verificare quale qualificazione giuridica è stata data», spiega il legale.

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