Che dopo il fenomeno del MeToo le accuse di frasi sessiste non necessitino di essere provate, e dunque bisogna prenderle per buone a prescindere, sta diventando un fatto insopportabile. Soprattutto se si tratta di accuse anonime diffuse attraverso social notoriamente non campioni della causa femminile.
Perciò fa riflettere quanto accaduto al vertice della Consip, con le dimissioni della presidente Barbara Luisi seguite da quelle della terza consigliera Luisa D’Arcano allo scopo di far decadere il cda così da predisporre il ben servito all’amministratore delegato Marco Mizzau colpevole, secondo un’accusa anonima, di aver proferito frasi sconvenienti nei confronti di una dirigente della società. L’anonimato evoca i colpi alle spalle, dove nessuno ci mette la faccia, ma il racconto viene affidato agli spifferi, da cui spesso è difficile difendersi. L’accusa anonima è il primo passo verso le derive giustizialiste, perché finisce per invertire l’onere della prova. È l’accusato che si ritrova a dover dimostrare la propria innocenza.
Fa riflettere anzitutto perché ricorda da vicino una vicenda che un paio d’anni fa ha colpito un grande manager romano e che si è conclusa con tanto di cenere sul capo (per evitare cause milionarie) da parte del quotidiano che lo aveva messo in croce. In secondo luogo perché Mizzau è alla guida di una delle più importanti società pubbliche – Consip si occupa di gran parte degli acquisti della pubblica amministrazione – facile obiettivo di appetiti di varia natura. E poiché Mizzau nell’anno della sua gestione ha fortemente innovato i processi d’acquisto, favorendo maggiore trasparenza e tracciabilità della spesa pubblica, con grande attenzione ai temi dell’efficienza (nonostante nel 2023 gli acquisti siano cresciuti a 27,2 miliardi, sono stati risparmiati 4 miliardi sull’anno prima) oltre ad aver raggiunto in soli sei mesi la completa digitalizzazione del sistema degli appalti pubblici, di sicuro non si è fatto molti amici. Sicché oggi Consip è una realtà sempre meno permeabile a intrusioni indebite: davanti a tutto ciò, come non sospettare che dietro l’attacco mascherato di sessismo vi siano interessi di natura diversa?
Se non si trattasse di questione molto seria, si potrebbe reagire con un’alzata di spalle visto che l’accusa è diretta a un manager noto per la ricerca della parità di genere, che ha introdotto in Consip non poche iniziative a favore delle donne (lo provano i non pochi messaggi di solidarietà ricevuti in queste ore dall’interno della società) e che in passato ha pubblicamente affermato che “tutte le volte che le donne si trovano a ricoprire posizioni di responsabilità dimostrano di avere una marcia in più rispetto agli uomini“.
In Accenture, dove Mizzau ha militato per svariati anni (a proposito, il Tesoro lo ha nominato in virtù di curriculum decisamente brillante) restano basiti quando si racconta la vicenda e si domandano referenze sul suo conto.
Nei prossimi giorni sapremo di più su questa storiaccia, nella quale l’azionista di controllo di Consip forse ha agito con eccessiva tempestività nell’accogliere senza battere ciglio le dimissioni di due terzi del cda. Vale infatti domandarsi come mai, di fronte a una denuncia anonima, la presidente Luisi non abbia attivato una procedura di contestazione. Secondo il quotidiano Repubblica, che sostiene di aver interpellato l’azionista Tesoro, «tempi lunghi e la possibilità di fare ricorso hanno consigliato di accantonare l’ipotesi. E di procedere in modo più diretto con le dimissioni che hanno fatto saltare l’intero cda e quindi anche l’ad e il suo incarico».
Viene da chiedersi che fine abbia fatto il diritto al contraddittorio, soprattutto in un crocevia tanto delicato per il bilancio pubblico.
Che cosa nasconde tanta determinazione?