“Questo tubicino che mi corre sul viso è un tubicino legato ad un respiratore automatico e mi permette di respirare in modo forzato, ma mi permette di essere qui a raccontare, a parlare con te“, spiega Franco di Mare in diretta con Fabio Fazio a Che tempo che fa. Parla con fatica ma con estremo raziocino e lucidità affronta con il conduttore il tema della sua malattia. Il giornalista Rai, inviato di guerra che ha raccontato agli italiani tantissimi dei conflitti degli anni Novanta, ha contratto un mesotelioma, tumore molto aggressivo e raro legato alla respirazione delle fibre di amianto.
E Di Mare, per anni purtroppo, v’è stato esposto per anni negli scenari di conflitto. “Francesco, non so come dirtelo. In questo momento vorrei tanto essere l’animatore di un villaggio e non un dottore. Hai un mesotelioma. Aggressivo“, sono state le parole del medico, come da lui stesso raccontato in un’intervista al Corriere della sera, quando gli ha comunicato la presenza del tumore. Franco Di Mare ha 68 anni e una notizia come questa piegherebbe le ginocchia anche di un ciclope, figuriamoci di un essere umano. “Sapevo bene cos’era. Mi sono piegato in avanti, muto, con le mani sulla testa“, ha spiegato il giornalista al quotidiano di via Solferino. Nonostante la notizia, il giornalista lotta, ma lo fa con la consapevolezza di sapere cosa succederà, senza troppe illusioni ma con quella speranza viva che fa guardare un po’ più in là, verso quella chimera chiamata futuro: “Ho un tumore che non lascia scampo. Mi resta poco da vivere, quanto non lo so. Però non mollo. Confido nella ricerca“.
Da una decina di giorni deve vivere attaccato al respiratore, che prima lo aiutava solo nelle ore notturne. Di Mare combatte, non si nasconde, guarda in faccia il suo nemico e lo chiama per nome: “Quando ero piccolo, in famiglia si abbassava la voce: ‘Quella persona ha un brutto male’. Come se, nominandolo, il mostro ti entrasse in casa. Io invece sono diretto. Ho un cancro“. E quando si iniziano a fare i conti con questo tipo di malattia, la domanda che ci si pone è “perché a me?”. Ma lui, a differenza di tanti altri, a questa domanda può dare una risposta certa e oggettiva: “Perché sono stato a lungo nei Balcani, tra proiettili all’uranio impoverito, iper-veloci, iper-distruttivi, capaci di buttare giù un edificio. Ogni esplosione liberava nell’aria infinite particelle di amianto. Ne bastava una“.
Per affrontare, e forse per esorcizzare, la malattia, Di Mare ha scritto un libro in uscita in questi giorni “Le parole per dirlo”, che lui definisce il suo testamento. Perché è da tre anni che il giornalista affronta questo tumore: “Una fitta terribile mi è esplosa tra le scapole, una coltellata. Credevo fosse un dolore intercostale. Invece era il collasso della pleura, uno pneumotorace“. Pensava al Covid, invece no. Dalla radiografia, spiega al Corriere, si vedeva che “Al posto del polmone destro c’era il nulla. Era collassato insieme alla pleura, la pellicola che lo avvolge. La cassa toracica per metà era vuota. Hanno provato a pompare aria per risollevarlo, non è bastato“. Dalla pleura, il tumore si è esteso, “è uscito” dice lui.
“La decorticazione mi ha regalato due anni di vita. Poi però, sei mesi fa, c’è stata una recidiva“, prosegue nel suo racconto preciso e puntuale, come ha sempre abituato il pubblico che l’ha seguito per anni nei suoi servizi. Ed è così anche quando spiega che, per un malato di tumore, il momento più difficile quando scopre la malattia è condividerla con le persone che si amano. “Puoi allungare il termine del giorno, non procrastinarlo all’infinito. Il tempo che abbiamo è prezioso, te ne accorgi solo quando te ne stai andando. E decidi di non sprecarne più nemmeno un istante“, dice nell’intervista. Non ha rimpianti, ha avuto la fortuna di fare il lavoro che ama e non odia il suo tumore: “È un aspetto di me, uno dei tanti. Il male fa parte della natura. Ma io non sono la mia malattia“.
Ma c’è un dolore dentro che non metabolizza, che genera rabbia: “Quando mi sono ammalato ho chiesto di avere lo stato di servizio, con l’elenco delle missioni, per supportare la diagnosi. Ho mandato almeno 10 mail, dall’ad al capo del personale. Nessuna risposta“. Di Mare era un dirigente Rai, direttore ad interim di Rai3 quando ha scoperto la malattia, “Mi hanno ignorato. Ripugnante, dovrebbero vergognarsi. Peraltro il palazzo di viale Mazzini è pieno d’amianto. Sottovoce, ti sconsigliano di appendere quadri al muro“, dice nell’intervista. Nonostante la malattia e la rabbia, cerca di ritagliarsi i suoi spazi di normalità: cucina, vive con la sua compagna e fa cene con gli amici. Ma il pensiero torna spesso alla malattia. “Il 28 luglio compirò 69 anni, ma non so se ci arrivo. Forse sì. Sono sereno, non ho paura.
Mi spaventa l’idea della sofferenza, però sono andato a una dozzina di funerali di colleghi più giovani di me“, ha spiegato, dicendosi un “uomo fortunato” per essere sopravvissuto a una sparatoria in Albania tra bande rivali.