Questa settimana apriamo il podio dei peggiori con un terzo posto con riserva – vedremo, infatti, come andrà a finire la storia. Lì, medaglia di bronzo, troviamo Piero Fassino. Lo avevamo lasciato in parlamento a lamentarsi della busta paga da deputato (“4.718 euro al mese non è stipendio d’oro”) e ce lo ritroviamo al duty free dell’aeroporto di Fiumicino accusato di aver rubato un profumo da 100 euro. Storia surreale e, a tratti, persino comica. Il deputato dem assicura che si è trattato di una semplice distrazione: il trolley, la telefonata all’improvviso, il flacone ficcato in tasca per sbaglio. “Volevo pagarlo”, assicura. Dall’altra parte, però, dicono che le immagini delle telecamere di sorveglianza parlano chiaro. A differenza dei suoi compagni di partito, che si son ben guardati dal difenderlo, noi rimaniamo garantisti e speriamo nella sua buona fede… però, mannaggia!, un po’ più di attenzione.
Al secondo posto c’è la fitta schiera di finti martiri capeggiati dall’uomo del momento: Antonio Scurati. Per carità, mamma Rai ha fatto un gran pasticcio col suo monologo, ma da qui ad auto proclamarsi nuovo Matteotti ce ne passa eccome. Certo, glielo fanno credere tutti quanti: il palco di Milano, in tv da Fabio Fazio, il suo monologo recitato a memoria da ogni sano antifascista. Fosse solo lui. I finti martiri, questo 25 aprile, erano davvero tanti: dal sindacato Rai all’Anpi, passando per Schlein e compagni e arrivando a papà Salis in piena campagna elettorale per la figlia. Tutti a fingere di stare sotto un regime quando sanno benissimo di vivere in un Paese democratico. Una farsa. Anzi, una pagliacciata a dir poco irrispettosa verso quelli che sono stati i veri martiri. Tanto più che, mentre la Meloni auspicava un’Italia unita, sui social esplodeva l’odio rosso con insulti e minacce di morte e a Bologna i soliti idioti davano alle fiamme i suoi manifesti elettorali.
La peggiore di tutti questa settimana è stata, però, Elly Schlein con la colossale figuraccia del simbolo per le elezioni europee. Giorni a discutere se mettere o meno il nome: lei lo vorrebbe eccome (in barba alla sua antipatia per il premierato!), i suoi, invece, danno di matto. E non solo per il simbolo! Romano Prodi la scarica senza pensarci su troppo. Arriva a definirla una “ferita per la democrazia”. Non gli va proprio giù che Elly si candidi senza aver alcuna intenzione di andare, in caso di elezione, a Strasburgo. “Così truffa gli elettori”, le urlano dietro alcuni dem.
A quel punto, per evitare la deflagrazione del partito, la segretaria cancella il proprio nome del simbolo ma, vista anche la batosta in Basilicata, al Nazareno si preannunciano mesi di fuoco.