Il cammino è ancora lungo, ma la riforma costituzionale sul premierato esce dalla commissione Affari Costituzionali del Senato, dopo 5 mesi, con un testo che potrebbe essere molto vicino a quello definitivo. E, senza uno scioglimento anticipato delle Camere, l’elezione diretta del capo del governo potrebbe essere una realtà nel 2027.
Il ddl Casellati, dal nome del ministro per le Riforme, ha avuto ieri i voti favorevoli di FdI, FI, Lega e Autonomie e quelli contrari di Pd, M5s e Avs. Italia viva si è astenuta. Ha ottenuto il via libera il relatore Alberto Balboni, presidente della Commissione di FdI, che riferirà in aula, prima che il ddl sia calendarizzato. «Presto – dice Elisabetta Casellati- metteremo la parola fine a inciuci, giochi di palazzo e governi tecnici».
Vediamo com’è stato modificato il testo.
– Elezione diretta del premier. La parte più importante della riforma propone di modificare l’articolo 92 della Costituzione: il presidente del Consiglio «è eletto a suffragio universale e diretto per 5 anni, per non più di 2 legislature consecutive». Possono diventare 3 se nelle precedenti 2 il premier ha ricoperto l’incarico «per un periodo inferiore a 7 anni e 6 mesi». Le elezioni delle Camere e del capo del governo avvengono «contestualmente». Una successiva legge elettorale regolerà il sistema «assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività». Questo dovrà avvenire nel rispetto del principio di «tutela delle minoranze linguistiche».Infine, il presidente della Repubblica «conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il governo» e «nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri». Dunque, non nomina più il presidente del Consiglio come avviene oggi, e può revocare su richiesta di quest’ultimo un ministro. In questo modo non potrà incaricare un tecnico.
-La norma antiribaltone. È stata la più controversa. Entro 10 giorni dalla formazione il governo deve ottenere la fiducia delle Camere, altrimenti il presidente della Repubblica rinnova l’incarico al premier eletto e in caso di fallimento scioglie il parlamento e si torna al voto. Con l’emendamento approvato, se una delle Camere revoca la fiducia vengono sciolte ambedue, se il premier si dimette entro 7 giorni può chiedere al Quirinale lo scioglimento. Se non esercita questa facoltà per vari motivi (o in caso di morte o «impedimento permanente»), il capo dello Stato può decidere di dare l’incarico di formare un nuovo governo o al premier dimissionario o a un altro parlamentare della stessa maggioranza. Questo, solo una volta in una legislatura, per evitare governi con maggioranze diverse.
-L’eliminazione dei senatori a vita. La riforma propone di eliminare il potere del presidente della Repubblica di nominarli. Quelli in carica non perdono il loro seggio. In commissione è stato solo cambiato il titolo dell’articolo.
-L’elezione del presidente della Repubblica. Avverrà, secondo il testo, a maggioranza dei 2 terzi dell’assemblea, ma dopo il sesto ( e non più il terzo) scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, ossia la metà più uno dei membri dell’assemblea.
-La modifica al semestre bianco. Negli ultimi 6 mesi del mandato il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere, ma viene aggiunto: «salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto». Eliminata la possibilità di sciogliere una sola delle due Camere.
Non dovranno essere controfirmati da premier o ministri atti come nomina del premier e dei giudici della Consulta, concessione della grazia, decreto per elezioni e referendum, rinvio delle leggi al Parlamento.