Decine di carri armati ammassati al confine: Israele prepara l’attacco a Rafah

Decine di carri armati ammassati al confine: Israele prepara l'attacco a Rafah

Da parte di Benjamin Netanyahu non è ancora arrivato il via libera definitivo, ma nei fatti l’esercito israeliano si sta preparando all’offensiva nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Non a caso sono state mobilitate decine di carri armati nella zona al confine con l’enclave palestinese: nello specifico circa 30 tank e veicoli blindati sono stati ammassati vicino al valico israeliano di Kerem Shalom, al confine con il sud dell’enclave palestinese, a pochi chilometri da Rafah. Uno schieramento del genere potrebbe rappresentare un segnale chiaro per l’imminente offensiva e potrebbe suggerire un arco temporale davvero breve.

Di recente sono stati approvati i piani per l’operazione di terra ma, almeno per il momento, il premier israeliano non ha ancora dato all’esercito l’ok finale per muoversi. A tutto ciò si aggiunge il fatto che la Brigata Nahal è stata ritirata in modo da concentrarsi con il resto della 162esima divisione sull’operazione che – al di là dell’inizio che tarda ad arrivare – dovrebbe trovare attuazione a stretto giro.

Il gabinetto di guerra israeliano si è riunito per affrontare le discussioni relative ai passi da seguire prima dell’ipotetico ingresso a Rafah. Non solo: al centro del vertice è finita anche la questione legata ai 133 ostaggi rimasti nella Striscia. Il messaggio che da tempo viene fatto passare è che l’invasione di Rafah si potrebbe rivelare necessaria non solo per eliminare Hamas ma anche per garantire che Gaza smetta di rappresentare una “minaccia” per Israele.

Nel frattempo si continuano a monitorare gli sviluppi dei colloqui nell’ottica di un cessate il fuoco nell’enclave. L’obiettivo principale resta quello di sbloccare la situazione alla luce dell’impasse dei negoziati con Hamas. Una piccola ventata di ottimismo potrebbe arrivare dalle ultime mosse. Nella giornata di domani è previsto l’arrivo una delegazione dell’Intelligence egiziana in Israele a cui va aggiunto il programma che prevede un incontro con alti membri del Consiglio di sicurezza nazionale. Ieri Ronen Bar (capo dello Shin Bet) ed Herzi Halevy (capo di stato maggiore dell’esercito israeliano) sono stati al Cairo.

Tra le ipotesi sul tavolo vi è uno scambio su larga scala di ostaggi per i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane oltre che una tregua di diverse settimane. All’eventuale scambio di prigionieri e ostaggi potrebbe essere affiancato il ritiro delle truppe israeliane – durante il cessate il fuoco – da vari punti della Striscia e consentire ai palestinesi sfollati di tornare nelle loro case nel Nord di Gaza. La delegazione egiziana, una volta terminata la missione a Tel Aviv, dovrebbe incontrare i rappresentanti di Hamas per studiare la risposta di Israele.

Un’altra opzione avanzata da Hamas sarebbe quella di accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e prevedere di deporre le armi per poi convertirsi in un partito politico qualora venisse creato uno Stato palestinese indipendente con i confini pre-1967. Senza alcun dubbio la possibilità del disarmo da parte di Hamas sarebbe una concessione tutt’altro che indifferente, ma va considerato che uno scenario del genere difficilmente potrebbe realizzarsi.

Le motivazioni vanno trovate nella dura reazione di Israele che, subito dopo l’aggressione del 7 ottobre, ha promesso di debellare Hamas.

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