Non basta il dibattito nazionale sul monologo dedicato al 25 aprile. Lo scrittore Antonio Scurati (foto), complice un’intervista alla tv tedesca Ard, esporta le sue accuse alla Meloni oltre confine. «Ho criticato il fatto che durante i 19 mesi del governo Meloni – spiega il vincitore del premio Strega 2019 -, la presidente del Consiglio ha insistito nel leggere la Storia secondo il suo background neofascista, in altre parole: ha scaricato la colpa delle stragi e degli eccidi sui nazisti tedeschi, anche se i fascisti di Salò erano complici e collaborazionisti». Per poi rincarare la dose accusando la premier di averlo attaccato personalmente: «Cento anni fa – aggiunge -, questo era il metodo fascista. Non si parlava di contenuti, ma si attaccava la persona». La stessa Ard racconta al suo pubblico di un netto cambiamento che ci sarebbe stato nella tv pubblica dopo l’insediamento del nuovo governo con tanti nomi illustri che hanno lasciato la Rai, facendo i nomi di Fazio, Berlinguer, Annunziata e Amadeus. Da noi, intanto, il «caso» resta sulla bocca di tutti. Alla Regione Lazio, per esempio, l’ormai celebre monologo è stato letto all’apertura della seduta del Consiglio come chiesto dalla capogruppo dem Sara Battisti. Richiesta fatta propria da Daniele Sabatini, capogruppo di FdI in Regione. «La prima a dimostrare che non c’è censura è stata proprio la Meloni, pubblicandolo sui suoi profili social». Le opposizioni vogliono però cavalcare l’onda e mantenere il «caso Scurati» al centro del dibattito. Per voce del deputato Andrea De Maria il Pd chiede che il Governo riferisca in aula sulla vicenda della presunta censura in Rai dello scrittore e che la Commissione di vigilanza svolga una sua indagine per illuminare i lati ancora oscuri di questa vicenda. Quest’ultimo punto è anche l’auspicio del capogruppo alla Camera di Fd Tommaso Foti. «Troppe volte abbiamo visto il Pd voler decidere per la Rai – spiega -. Non è questo l’obiettivo di FdI, che ha i suoi rappresentanti in commissione di Vigilanza che portano avanti gli interessi del Parlamento, e poi ci sono i dirigenti Rai.
Funziona così in democrazia».