Assunzioni, appalti e 156mila euro. Lo “spregiudicato” sistema Pisicchio

Assunzioni, appalti e 156mila euro. Lo "spregiudicato" sistema Pisicchio

Ci sono i contanti, 156mila euro, le assunzioni di figli e di potenziali elettori, ma anche pc e telefonini. Ci sono un «incontenibile appetito di utilità» e una certa «spregiudicatezza nella commissione dei reati». Descrive così il gip i profili dei fratelli Pisicchio nell’ordinanza di custodia cautelare che li ha portati ai domiciliari per corruzione. Avrebbero favorito società e imprenditori negli appalti e nei finanziamenti della Regione Puglia in cambio di denaro, favori, finanziamento illecito al loro movimento politico «Iniziativa democratica». Sono le due figure chiave dell’indagine che scuote i piani alti dell’amministrazione pugliese da giorni sotto uno tsunami giudiziario. Il governatore Emiliano precisa che «tutte le diverse indagini non hanno mai riguardato l’attività istituzionale della Giunta in carica».

I FRATELLI PISICCHIO

Alfonso Pisicchio, detto Alfonsino, era l’assessore all’Urbanistica nella scorsa legislatura ma anche dopo vicino a Emiliano, tanto che era stato nominato commissario dell’Arti (agenzia regionale della tecnologia e l’innovazione). «Pisicchio aveva dato assicurazioni che le indagini a suo carico erano state chiuse con archiviazione», dice ancora il governatore.

Per i pm, Alfonsino da assessore avrebbe sfruttato «la sua influenza politica e le sue relazioni, tramite suo fratello Enzo, per una gestione clientelare del suo ruolo, con favoritismi per ottenere ritorni in termini di consenso elettorale, mediante assunzioni nelle imprese favorite o avvantaggiate di persone che assicurano il voto e che avevano militato anche nel suo partito». Il fratello Enzo sarebbe stato l’intermediario con gli imprenditori e per i pm lo schermo delle presunte attività illecite del fratello. Il gip ha ritenuto necessari i domiciliari perché Alfonsino «è ancora politicamente attivo» tanto che stava preparando una lista in vista delle imminenti Comunali di Bari, «Senso civico per l’Italia», con tanto di simbolo depositato due giorni prima degli arresti.

IL GIALLO DELLE DIMISSIONI

Alfonso Pisicchio si è dimesso dall’incarico di commissario di Arti con una clamorosa coincidenza temporale, 48 ore dopo il deposito da parte del gip dell’ordinanza di custodia cautelare. Fuga di notizie? La tempistica non è sfuggita in queste ore agli inquirenti. Del resto da giorni a Bari l’aria è pesante e circolavano voci di nuove azioni della magistratura.

LE ASSUNZIONI

In cambio del loro intervento per favorire le società negli appalti i Pisicchio avrebbero ricevuto 156mila euro in contanti. Tra le accuse, quella di aver turbato una gara da 5 milioni per la riscossione delle tasse del Comune di Bari, aggiudicata a una società in cambio della promessa di assunzioni e del pagamento di iniziative elettorali. Enzo Pisicchio avrebbe ricevuto mobili, un cellulare, un tablet, un’auto, la festa di laurea per la figlia. Alfonsino si sarebbe invece assicurato posti di lavoro per i suoi elettori e per il figlio, in una delle società favorite su finanziamento regionale da 6,2 milioni di euro. Nelle intercettazioni chiamavano «gelato» la ricompensa che gli imprenditori avrebbero dovuto riconoscere ai fratelli: «Un gelato glielo devi dare». I nomi delle persone da assumere erano contenuti in alcune liste approvate da Alfonso e sequestrate nel 2020. Enzo si sarebbe strettamente attenuto alle indicazioni del fratello. Intercettato in macchina parla con la figlia del sistema di assunzioni: «Alfonso poi è il solito, dice: no! metti quelli che dico io (…) perché questi non portano voti, io ho bisogno di essere eletto!. Per i pm anche i 65mila euro trovati proprio a Enzo in banconote di piccolo taglio in una busta dei rifiuti nascosta sotto il balcone della cucina sarebbero di «provenienza illecita».

L’AVVOCATO LAFORGIA

Michele Laforgia, oltre a essere il candidato sindaco di Bari sostenuto dal M5s, era anche il difensore di Pisicchio fino a ieri quando ha rinunciato all’incarico per «evitare qualsiasi ulteriore speculazione sulla presunta – e inesistente – interferenza fra la mia attività professionale e il mio impegno politico.

Ovviamente, non sapevo e non potevo sapere nulla dell’ordinanza nei confronti di Alfonso».

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