Dell’intelligenza artificiale affascinano e spaventano i suoi segreti. L’umanità la sta imparando a conoscere, ma le insidie non mancano e sono ancora troppe le domande senza risposta. Se n’è parlato durante il secondo tavolo «L’ultimo dono di Prometeo», moderato dal vice direttore del Giornale Nicola Porro e a cui hanno partecipato tre esperti internazionali di IA: Carlo Cavazzoni, responsabile scientifico di Leonardo Lab; Uljan Sharka, ceo di iGenius; e Xabi Uribe-Extebarria, ceo e fondatore di Sherpa.ai.
Tre volti diversi che hanno portato la loro esperienza nel loro settore di riferimento, dall’imprenditoria alla scienza. Cavazzoni ha aperto il dibattito ricordando al pubblico l’eccezionalità dei supercomputer. È infatti di Leonardo uno dei supercomputer più potenti al mondo, e si trova a Bologna. A renderlo straordinario è la capacità di memorizzare i dati. Occorre considerare però che tale sforzo tecnologico, per quanto di stampo positivista, richiede quantità industriali di energia. Il tema della potenza di calcolo necessaria per alimentare i sistemi di intelligenza artificiale finisce spesso ignorato rispetto ad altri meno concreti, forse perché le capacità rivoluzionarie delle macchine suggestionano maggiormente rispetto alle implicazioni pratiche sull’ambiente.
Oggi un problema ricorrente è la scarsa dimestichezza con le nuove tecnologie, che pone il rischio di una concentrazione delle conoscenze in poche persone. Uljan Sharka è preoccupato da questo fenomeno, avendolo toccato con mano mentre lavorava nel cuore della Silicon Valley per Apple. Col tempo infatti la distanza tra il creatore e il fruitore dell’innovazione non ha fatto altro che aumentare. «Dobbiamo chiudere il divario tra tecnici e non», ha avvertito il fondatore di iGenius. «Diventerà fondamentale ha aggiunto il giovane pioniere dell’IA generativa, padre del sistema Crystal fare delle scelte: la mia è stata quella di tornare in Italia e sviluppare un modello che parli italiani. Dobbiamo diventare creatori di intelligenza artificiale, il tema riguarda la sicurezza dei nostri sistemi produttivi. Una volta l’informazione lo strumento che la trattava erano strumenti separati, oggi l’intelligenza artificiale unisce i dati con la tecnologia. Se non c’è una governance che definisce come i dati vengono elaborati e chi ne ha la responsabilità, si rischia moltissimo».
Insomma, l’intelligenza artificiale o è democratica oppure non è. Ed è imperativo rimanere al passo con l’evoluzione dell’IA, altrimenti sarà troppo tardi. «I modelli di linguaggio dell’intelligenza artificiale ha spiegato Xabi Uribe Extebarria sono diventati molto grandi e sono emerse proprietà che non ci aspettavamo. La somma delle parti ha dato un risultato superiore alle parti singole: è emerso il ragionamento o la capacità di disegno».
Da qui emerge un interrogativo quasi esistenziale, sollevato da Porro ai relatori: la macchina è in grado di prendere una decisione etica? Per Cavazzoni è urgente intervenire al fine di evitare un’omologazione. «In forum di altissimo livello ha rivelato il fisico di Leonardo si discute di come un’intelligenza artificiale generata in Europa o in Italia abbia una sensibilità etica più vicina al nostro sentire». Uribe-Extebarria usa provocatoriamente come esempio un suo articolo. «Esigiamo dalla macchina cose che invece non pretendiamo dall’essere umano», ha commentato l’imprenditore spagnolo. «Perché non accettiamo che ci siano intelligenze artificiali con opinioni diverse?».
Ciò che determinerà però il successo o il fallimento di un Paese sullo sviluppo dell’IA sarà la visione.
«Non ci deve interessare fare un ChatGpt italiano a breve termine», ha concluso Sharka, «ma offrire una scelta di mercato a lungo termine: solo catturando il valore interno possiamo creare davvero un nuovo ecosistema».