Bene, bravi, bis: nel giro di 12 ore, il Parlamento respinge la seconda mozione di sfiducia contro il secondo ministro del governo Meloni.
Mercoledì sera è stato il turno di Matteo Salvini, messo sotto accusa da Azione per le sue relazioni pericolose col partito di Putin, ieri mattina è toccato a Daniela Santanché. La mozione di M5s, bocciata con 121 sì e 213 no, puntava invece sulle inchieste giudiziarie che vedono coinvolta la titolare del Turismo. Lei non si è fatta vedere: «Non sono andata perché avevo da fare, per il turismo c’è molto da lavorare in Italia. Il mio stato d’animo è uguale a quello di ieri, a quello di una settimana e di un mese fa. Assolutamente tranquilla, a fare il mio lavoro anche oggi, come ieri e come farò domani. Il Parlamento è sovrano, e il voto mi sembra molto chiaro». Il tam tam di palazzo ripete che, in caso di rinvio a giudizio, la ministra dovrà comunque farsi da parte ma lei smentisce ipotesi di dimissioni: «Mai, non me l’hanno mai chiesto, fatevene una ragione».
A Montecitorio, durante lo scrutinio, non c’è molta suspense, né si percepisce grande tensione morale nel fronte pro-sfiducia. Elly Schlein chiacchiera col fido Marco Furfaro in mezzo al Transatlantico, mentre in un capannello di deputati dem in attesa di votare si cita il Woody Allen di «Provaci ancora Sam»: «Gli abbiamo appioppato una bella nasata sul ginocchio, eh?». Del resto, dice l’ex capogruppo Pd Andrea Marcucci, oggi con il centro renziano, «Quando si ha la certezza di perdere, non si presenta una richiesta di sfiducia. Serve solo alla maggioranza a mostrarsi compatta, anche quando in realtà non lo è». E neppure l’opposizione, a dire il vero: dalla mozione M5s si dissocia Italia viva («Santanchè ha chiesto le dimissioni di tutti i nostri ministri, ma io sono garantista anche con lei, lo sono con tutti gli avversari», dice Matteo Renzi) e anche un pezzo di Azione, con Enrico Costa e Mariastella Gelmini. Da Fdi esulta Fabio Rampelli: «Secondo assist della sinistra, secondo goal del centrodestra sulla mozione di sfiducia al ministro Santanchè. Ovviamente largamente bocciata». Persino Giuseppe Conte, autore della sagace richiesta di sfiducia, ammette: «Domani i giornali aedi del governo canteranno della ritrovata compattezza della maggioranza a difesa di Santanché. Mi chiedo: si può essere orgogliosi di ritrovarsi compatti a difendere gli amichetti di partito?». Intanto, però, l’assist lo ha offerto lui. E ha pure affidato la requisitoria d’aula alla fida Chiara Appendino, severissima sui casi giudiziari altrui: «A chi tra i banchi della maggioranza si trincera dietro al garantismo, lo dico molto chiaramente: per voi serve aspettare il rinvio a giudizio e l’eventuale condanna per chiedere le dimissioni?».
Peccato che, in aula, più d’uno le ricordi che il suo non è il pulpito migliore da cui reclamare dimissioni: «Chiara Appendino non è rinviata a giudizio, non è neppure condannata in primo grado: è condannata in appello per disastro colposo, lesioni e omicidio colposo plurimo», punta il dito il renziano Roberto Giachetti. «Condanna per me aberrante, auspico che in Cassazione sia assolta. Ma è davvero singolare che l’accusa venga da una condannata in secondo grado, che in base a regolamento dei 5S non avrebbe neanche dovuto essere candidata». Poi Giachetti passa in rassegna politici e ministri dimissionari per inchieste giudiziarie e poi totalmente prosciolti: da Storace a Mastella, da Lupi a Guidi, da Di Girolamo a Fassino.
«Per non parlare di due perseguitati come Renzi e Berlusconi, inseguito anche da morto: non vi basta per capire che non possiamo farci condizionare da vicende giudiziarie?».