Periferia nord di Atene: il 31 marzo scorso Kyriaki Griva, 28 anni, si reca al commissariato di polizia di Agioi Anargyro in cerca di aiuto. La accompagna un’amica: Kyriaki è terrorizzata ed è lì per chiedere una consulenza.
Il suo fidanzato è un uomo violento, e la giovane racconta le violenze subite. Viene accolta dall’ufficiale di servizio. Quest’ultimo, quasi a banalizzare l’accaduto, non prende nota del racconto della ragazza e non la trattiene per registrare una denuncia o simili. Kyriaki è spaventata e riferisce di avvertire la presenza di lui, che potrebbe seguirla fin lì. L’ufficiale che l’accoglie non sa come gestirla e le riferisce di non avere pattuglie che possano scortarla a casa. Così, lascia la ragazza al suo destino. Kyriaki, appena fuori dal commissariato incontra il suo carnefice. Ricontatta il commissariato, disperata, cercando aiuto. Dice di essersi persa e che lui la sta inseguendo per farle del male. Non chiede più solo di essere scortata ma che qualcuno intervenga in suo soccorso. Dall’altro capo del telefono, l’uomo che avrebbe potuto salvarle la vita le risponde stizzito che “l’auto di pattauglia non è un taxi“. Poco dopo Kyriaki muore pugnalata alla schiena dal fidanzato.
Grosse mobilisation à Athènes à la mémoire de Kyriaki Griva, tuée à la sortie du commissariat où elle avait déposé plainte contre son assassin après s’être vue répondre quand elle demandait une escorte policière que «la voiture de police n’est pas un taxi»pic.twitter.com/CzE6XH6fxj
— Marcel (@realmarcel1) April 5, 2024
Il Paese ora è sotto choc. Non solo perché i fenomeni di violenza domestica sono raddoppiati dal 2020, ma perché la morte della giovane è frutto di una serie di errori grossolani, omissioni, incompetenza e disumanità. I media nazionali, che hanno riportato l’audio disperato di richiesta di aiuto, fanno emergere pian piano la catena umana che ha portato a sottovalutare il caso, agendo nel peggiore dei modi. Kyriaki, infatti, non sarebbe dovita uscire da quel commissariato senza scorta. Ma soprattutto avrebbe dovuto essere soccorsa immediatamente. L’Arma fa quadrato attorno agli agenti coinvolti, citando le norme e i protocolli. Ma dal 2021 tutte le forze dell’ordine nel Paese hanno ricevuto un manuale a uso interno per trattare i casi di violenza domestica. In questo caso emerge, dunque, come i protocolli non siano stati rispettati: è infatti impensabile che né la testimonianza della giovane sia stata trascritta tantomeno i suoi dati personali. L’unica richiesta formale pervenuta risulta quella sull’intenzione di denunciare e far causa. Al suo “no”, e alla richiesta reiterata di essere accompagnata, le era stato risposto semplicemente che era necessario contattare un operatore.
Un altro agente ora ammette di aver assistito addirittura all’omicidio. Raggiunta la scena del crimine avrebbe infatti fatto in tempo a vedere l’assassino aggrappato alla schiena della fidanzata, ma senza comprendere le sue intenzioni e dove avesse le mani. Allontanatosi, avrebbe visto il pugnale affondare nel corpo della ragazza, straziata dal fendente. Pochi secondi e qualche valutazione ulteriore che avrebbero fatto la differenza tra la vita e la morte. Divenuto una piaga dilagante negli ultimi anni, il femminicidio viene trattato anche dal governo di Atene come una vera emergenza sociale. Appena due anni, fa il premier Mitsotakis incitava i cittadini ad avere “fiducia nello Stato”.
Ora quello Stato, per negligenza e superficialità, si è reso protagonista della morte di una vittima che chiedeva aiuto. Pronti alle barricate cittadini, organizzazioni e associazioni. In attesa del processo, l’assassino è stato rinchiuso in un reparto psichiatrico del carcere.
La catena di comando responsable del caso, in attesa del processo, è stata sollevata dall’incarico: dall’ufficiale di turno sino all’operatore del call center.