– “È finito in manette un imprenditore del pescarese operante nel settore del confezionamento di marmellate, con società e brand conosciuti a livello nazionale ed internazionale sommersi da un vorticoso giro di carte false, con un crac a sei zeri”. Troppo facile affermare che l’hanno beccato con le mani nella marmellata.
– Fa un po’ ridere che il Corriere della Sera definisca “dal sapore vagamente orwelliano” la legge scozzese contro l’odio omofobo. Perché la norma che criminalizza le espressioni dirette a “fomentare l’odio sulla base di età, disabilità, religione, orientamento sessuale e identità transgender” è la sorella maggiore di quel Ddl Zan per cui in tanti, soprattutto giornalisti e intellettuali, facevano il tifo.
– La politica è l’arte del compromesso. Ma è anche il regno della faccia tosta, per non scomodare altre ineleganti parti del corpo. Per riuscire ad affermare tutto e il contrario di tutto occorre infatti la capacità di non provare vergogna di fronte alle evidenti contraddizioni. Come nel caso di Ilaria Salis e Daniela Santanché. Prendete il Pd. Oggi i dem hanno fatto sapere che la compagine guidata da Elly Schlein voterà la mozione di sfiducia contro il ministro del Turismo. La sua colpa? Risultare indagata per il noto caso Visibilia. Direte: embé? Il Pd è sempre stato garantista a targhe alterne, un po’ come tutti i partiti italiani, dunque non c’è di che stupirsi. Vero. Però in queste ore si è discusso di una possibile candidatura di Ilaria Salis al Parlamento europeo (poi sfumata) e allora i fatti si ingarbugliano. Sia Ilaria che Daniela infatti sono cittadine italiane ed etrambe sono accusate di un qualche reato. Eppure da una parte il Pd chiede le dimissioni “a priori” di un ministro sotto inchiesta. E dall’altro sposa la battaglia di un’esponente dei centri sociali che deve rispondere dell’accusa di aver pestato un signore per strada (che fosse neonazista speria sia per tutti un dettaglio irrilevante). La domanda è: come può un partito bombardare un semplice indagato e poi anche solo pensare di candidare una signora con alle spalle una vita sulle barricate, alcune condanne, decine di denunce e diverse segnalazioni all’autorità giudiziaria? Ilaria Salis è innocente fino a prova contraria, per quanto ci riguarda. Ma allora lo stesso principio va applicato anche a Daniela Santanchè.
– Dopo l’incontro con Roberto Salis, a quanto pare Elly Schlein ha deciso di non candidare la detenuta italiana in Ungheria. Al momento l’ipotesi “non è in campo” e chissà se in un futuro prossimo potrà tornare in auge (difficile). Quello che ne viene fuori, alla fine, dopo giorni di voci mai smentite, è l’ennesimo gran pasticcio dem. Vista da fuori, sembra quasi che l’abbiano sedotta e abbandonata. Mi sa che hanno assunto lo stesso responsabile comunicazione della Ferragni: un disastro.
– Secondo alti ufficiali ucraini che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny, l’Ucraina sarebbe messa male: “Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina adesso – dicono alcune fonti di Politico – perché non esistono tecnologie in grado di compensare l’Ucraina per la grande massa di truppe che la Russia scaglierà contro di noi. Noi non disponiamo di queste tecnologie e neanche l’Occidente le ha in numero sufficiente”. Così, tanto per saperlo. Anche se, dopo le lodi decantate per la riconquista ucraina che non c’è mai stata, non so se fidarmi più di certe fonti e dei quotidiani occidentali.
– Sul caso Santanché parla Andrea Orlando: “Diranno che bisogna aspettare il primo grado, poi il secondo, poi la Cassazione. Anche contando sui tempi della giustizia in Italia mi sembra sostanzialmente che la scelta del Governo sia quella di ritenere irrilevanti dal punto di vista politico le vicende processuali”. In due frasi, l’ex ministro è riuscito a rivelare tutta la furia giustizialista del Pd. Ce l’hanno proprio nell’animo. Se un politico è solo indagato o rinviato a giudizio, non v’è alcun “problema politico” perché è tecnicamente innocente (lo dice la Costituzione) e quindi non deve dimettersi. Chiaro? È arrivato il momento che il Pd, ma anche FdI e tanti altri, smettano di considerare un rinvio a giudizio come una condanna. Si resta in carica fino alla sentenza: il giorno in cui raggiungeremo questo risultato saremo un Paese migliore.
– Sul caso di Blanco a Sanremo (ricordate le rose danneggiate?), ci sono tre osservazioni da fare. Primo: un Paese che investe risorse per indagare sulla distruzione di alcuni petali è un Paese morto. Secondo: il Codacons potrebbe pensare a battaglie più serie. Terzo: se il Gip assolve il cantante e giustifica il tutto attribuendo l’ira di Blanco ad un inconveniente che poteva pregiudicare “le chances di vittoria”, bisogna davvero essere preoccupati per lo stato dell’arte della giustizia. Il cantante infatti era un ospite, non era in gara quell’anno a Sanremo. Quindi l’archiviazione si baserebbe sul nulla (o quasi). Annamo bene.
– Ci mancava solo Rosy Bindi a rendere ancor più intricata la querelle delle candidature dem. L’ex ministro, oggi senza più tessera, invita Elly Schlein a candidare Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, pacifista ma anche antiabortista e cattolico a tutto tondo. Per Rosy gli elettori sulla guerra la pensano più come Tarquinio e Cecilia Strada che come “i dirigenti che hanno votato per l’escalation militare”. E forse è vero. Ma chi lo spiega ai riformisti dem che il nuovo Pd somiglierà sempre più alla copia del M5S, solo molto più ingarbugliato e incasinato a causa delle correnti?
– Ha scritto più biografie Bergoglio che post Chiara Ferragni. Siamo sicuri che, viste le tante polemiche contenute all’interno, tutta questa esposizione faccia bene all’immagine del Papato e dunque della Chiesa? Risposta: no. Perché una fede che vive di mistero e di sacralità, farebbe bene a lasciare fuori dalle interviste le beghe personali, le manovre di palazzo, i voti per questo o per quello, il Conclave e le vendette contro Padre Georg. Con tutto il rispetto per il Santo Padre, Francesco siede sul trono di Pietro, non sulla sedia del Grande Fratello.
– Ha ragione Massimo Franco: evidentemente, il trauma dei “due papi” non è stato ancora superato da Francesco. Il quale, a oltre un anno dalla morte di Ratzinger, quando cioè il problema potrebbe essere sepolto insieme al Papa Emerito, continua a parlarne come se non avesse rimarginato la ferita.
Non sto dicendo che Bergoglio si sia sentito per 10 anni un Papa a metà, ma forse l’anomalia di non essere l’unico successore di Pietro vivente deve averlo segnato in qualche modo.