Sebbene l’Aloha state sia universalmente riconosciuto come un paradiso terrestre, Washington sa bene quanto le Hawaii siano strategicamente importanti da un punto di vista militare. Gli Stati Uniti, infatti, avrebbero imparato duramente il valore geopolitico di questa granola di isole sparse nel Pacifico in occasione dell’attacco a Pearl Harbour, che simbolicamente segnò l’ingresso del Paese nella Seconda Guerra Mondiale.
L’area geografica di pertinenza del Trattato Nato
Un precedente che avrebbe dovuto insegnare molto sia alla Casa Bianca che all’Alleanza Atlantica che sarebbe nata di lì a poco. Da allora, infatti, siamo abituati a concepire gli Stati Uniti come un blocco unico a capo del Trattato che vede nel famoso art.5 il suo nucleo di funzionamento: se un alleato viene colpito, gli altri hanno l’obbligo di intervenire. Ebbene, ciò vale per tutti i territori coinvolti tranne che per le isole Hawaii. Questo significa, in soldoni, che in caso di un’altra Pearl Harbour nessuno degli alleati americani avrebbe il dovere di intervenire a supporto degli Stati Uniti d’America.
Ma quale è il cavillo che rende gli Usa una federazione di 49 Stati e non di 50 in ambito Nato? La prima ragione è nella portata geografica del trattato: quando venne concepita la Nato, essa aveva una connotazione eminentemente geografica. L’interpretazione “Trattato del Nord Atlantico” è stata decisamente restrittiva, riportata nel trattato di Washington che nel 1949 ne sancì la nascita. L’articolo 5, infatti, recita: “Le Parti concordano che un attacco armato contro una o più di loro in Europa o Nord America verrà considerato un attacco contro tutti“. Per questa ragione, sin dal 1949, nell’esercizio diritto individuale o collettivo all’autodifesa, gli alleati assisteranno la parte o le parti attaccate al fine di “restaurare o mantenere la sicurezza nell’area del Nord Atlantico”. Dunque, l’attacco deve avvenire in Europa o in Nord America, e la ritorsione deve agire al fine di restaurare la sicurezza dell’Area del Nord Atlantico. Nulla che, dunque, contempli le povere Hawaii.
L’ipotesi dell’art. 4
Qualora non bastasse l’art. 5, interviene l’art. 6 a specificare come considerare il territori insulari: essi devono, infatti, essere compresi nell’area nordatlantica a nord del Tropico del Cancro. Dunque, nessuna eccezione per le Hawaii. Eppure, il dipartimento di Stato fa sapere che l’art.4 potrebbe intervenire in soccorso all’arcipelago poichè prevede che “le parti possano consultarsi qualora, secondo qualcuna di loro, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di alcune delle parti è minacciata“. Ma il “potrebbe” non basta.
La domanda sorge spontanea: Washington non ha imparato nulla dall’ultimo conflitto? La questione è ben più complessa. Scoperchiare il tabù dei territori insulari in ambito Nato genererebbe il caos, poichè numerosi membri possiedono appendici della propria sovranità al di fuori del perimetro del Nord Atlantico: troppe eccezioni, dunque, renderebbero la Nato una groviera di difficile gestione. Eccezioni che confermarono questa regola si sono presentate, ad esempio,nel 1982, quando nella guerra delle Falkland la Nato restò a guardare: il conflitto, infatti, si svolse nella acque dell’Atlantico meridionale, e sebbene riguardasse un Paese come l’Inghilterra, l’Alleanza non vi prese parte.
Tempo di includere le Hawaii?
Sarebbe, dunque, giunto il tempo di riformare le la Nato? Considerando i sommovimenti della geopolitica attuale, con particolare attenzione all’Indo-Pacifico, la risposta non può che essere positiva. Le basi militari alle Hawaii, infatti, potrebbero risultare fondamentali nel contenere la minaccia nordcoreana o nell’assistere Taiwan in caso di aggressione cinese, come previsto dal Taiwan Relations Act. Un nervo scoperto gravissimo, che lascia le Hawaii in balìa di un pontenziale attacco dei nemici di Washington, offrendo al contempo agli alleati pavidi un’ottima ragione per evitare di intervenire in un contesto così delicato. Ma soprattutto, un dettaglio che priva la Nato e gli Stati Uniti di un importante tassello di deterrenza nel Pacifico, “sprecato” per via di un cavillo vetusto quanto la Guerra Fredda.
Sebbene non sia uno Stato della federazione, il medesimo problema si porrebbe anche per Guam, tecnicamente “territorio non incorporato”, 3000 miglia a Ovest delle Hawaii. Anche per questo territorio da tempo si invoca l’inclusione sotto l’ombrello Nato: dalla locale base di Andersen, infatti, gli Stati Uniti possono rispondere con i B-1, B-2 e B-52 a eventuali attacchi. Non a caso, Guam è stata a lungo oggetto delle minacce nordcoreane nell’area negli ultimi anni. Ma davvero bastano questi cavilli a rendere la Nato non operativa anche per queste aree? Difficile dirlo. Qualcuno a Washington cita il caso dell’11 settembre, dimentico, tuttavia, che il supporto occidentale agli Stati Uniti è stato realizzato attraverso una cosiddetta “coalizione di volenterosi” e non via Nato.
La verità è che nessuno, a oggi, sa quanto siano larghe le maglie e la forza dell’Alleanza Atlantica: una tempra che abbiamo imparato a testare, nostro malgrado, solo con la guerra in Ucraina e la sequela di “ma” e “se” che ha generato.