Salis vuol mostrarsi in catene. E suo papà si appella al Colle

Salis vuol mostrarsi in catene. E suo papà si appella al Colle

L’ipotesi di candidatura alle Europee con il Pd, l’attenzione mediatica, l’attacco all’«inerzia» del governo italiano e alla magistratura ungherese che ha respinto la richiesta dei domiciliari avanzata dai legali di Ilaria Salis. Che sin dalla prima udienza ha dato il suo consenso a farsi filmare e fotografare nell’aula del tribunale di Budapest – e alla stampa italiana di pubblicarne gli scatti – con il guinzaglio e le catene a mani e piedi. Per mostrare al mondo le condizioni detentive in uno Stato membro dell’Ue. «Autorizzo la stampa italiana a pubblicare le immagini che mi ritraggono con le manette e tutte le catene che eventualmente decideranno di mettermi», si legge nel documento. Insomma, che tutti vedano. È questa la sfida di Salis, con sullo sfondo la candidatura a Bruxelles per l’immunità parlamentare.

Dal governo e dal ministro Carlo Nordio nei mesi scorsi era arrivato alla famiglia Salis l’invito a non politicizzare il caso, per il rischio che ogni azione potesse essere percepita come «un’ingerenza» di un altro Paese su un potere indipendente, quello dei magistrati di Budapest. Invadere quel terreno sarebbe stato «controproducente», era stato detto. Un concetto ribadito ancora ieri dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha invitato a non farne una questione diplomatica per non compromettere l’esito positivo del caso.

Ma ora Roberto Salis, padre della maestra 39enne in carcere da 13 mesi con l’accusa di aver aggredito tre militanti di estrema destra, esasperato dopo il diniego dei domiciliari a cui, con gli avvocati, aveva lavorato per settimane, trovando un appartamento a Budapest e offrendo una cauzione da 40mila euro, sbotta contro lo stesso ministro Nordio: «Ha detto che era colpa nostra se Ilaria non era fuori dal carcere, che abbiamo perso un anno a non chiedere i domiciliari in Ungheria. Ora abbiamo avuto la prova che era una fandonia. Quello che ci aveva detto di fare si è rivelato un buco nell’acqua». E ha annunciato di aver scritto, per la seconda volta, al capo dello Stato, Sergio Mattarella: «Ho mandato una Pec al presidente della Repubblica, una lettera molto asciutta riferendomi a quella che gli avevo inviato il 17 gennaio e a cui aveva subito risposto. È il garante della Costituzione e l’articolo 3 si applica a tutti i cittadini italiani: può intervenire sul governo Orban e deve smuovere il governo italiano perché evidentemente non ha fatto quello che doveva fare. Mia figlia in questo Paese è colpevole per tre motivi specifici. È una donna. Non è un ungherese. Ed è antifascista. Questo la rende il nemico pubblico numero uno».

I legali di Salis depositeranno il ricorso contro il diniego dei domiciliari subito dopo Pasqua. Ma «sappiamo che è senza speranza. Tutti i ricorsi sono stati sempre rigettati», spiega il difensore italiano della donna, Eugenio Fusco. Lasciarla in cella «è stato uno schiaffo all’Italia» e «c’è assolutamente bisogno di un intervento diretto del nostro governo». Lo stesso ministro Tajani «aveva chiesto al ministro ungherese di non portarla con le catene e le manette, con una nota che io ho letto, ma neanche questo hanno ottenuto», spiega il legale. Il governo «non può permettere che una sua cittadina sia detenuta in Ungheria quando un tribunale italiano ha appena detto che le condizioni carcerarie in quel paese sono disumane e degradanti».

Il riferimento è alla sentenza della Corte d’appello di Milano nei confronti di Gabriele Marchesi, coimputato di Ilaria Salis, ma arrestato in Italia.

È tornato libero dopo che il tribunale ha deciso di non concedere l’estradizione a Budapest per le condizioni detentive che non garantiscono il rispetto dei diritti umani.

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