No, «non è solo una boutade». Della «fattibilità» della candidatura di Ilaria Salis nelle liste Pd si discute seriamente. A dirlo è uno dei dirigenti Pd che hanno partecipato alla riunione ristretta del cosiddetto «E-Team» (il team di Elly), una sorta di «Gladio» della segretaria che viene riservatamente consultato sulle decisioni importanti.
Dice Laura Boldrini, che alla riunione gladiatoria ha partecipato ed è grande sostenitrice dell’idea di usare Salis come bandiera «antifa» alle europee, che «al momento è solo un’indiscrezione giornalistica». Ma lei e diversi altri esponenti della sinistra Pd (Zan, Furfaro, Bonafoni etc) stanno lavorando per farla diventare un’ipotesi più realistica. «Sarebbe un’idea proprio sbagliata», stigmatizza Carlo Calenda. E come lui la pensa gran parte del Pd: «Peccato che Barbara Balzerani sia morta, se no candidavamo pure lei», ironizza amaramente uno di loro.
Intanto hanno parecchio da discutere e litigare con la leader sulle altre candidature. Un messaggio bellicoso è arrivato ieri dal gruppo parlamentare dei dem a Strasburgo: «Diamo fiducia alla segretaria, ma a patto che valorizzare il lavoro svolto dagli uscenti. Una mancata difesa delle battaglie fatte suonerebbe come una bocciatura». Il sospetto di gran parte degli uscenti (tranne la schleinianissima Camilla Laureti, sicura di essere ben piazzata) è che Elly sia pronta a sacrificarli in blocco, candidandoli in posti ineleggibili, per far posto a suoi fedelissimi e alle bandierine dei «candidati civici». «Ma le liste per Strasburgo non sono un contest tipo Isola dei Famosi», ha attaccato Pina Picierno, vice presidente del Parlamento europeo assai stimata a Bruxelles. Schlein però le ha preferito, nel Sud, Lucia Annunziata (illustre capolista «paracadutata» contro cui montano i malumori locali) e il «suo» Guido Ruotolo, al momento disoccupato, che farà il «panino» con la capolista e la segretaria per ottenere loro tramite le preferenze. Ovvio che così la terza donna, ossia Picierno, rischi di essere stritolata. Stesso copione per gli altri eurodeputati uscenti, che ieri si sono pubblicamente ribellati segnalandolo al Nazareno.
Ancora tutta aperta anche la questione Tarquinio. L’ex direttore dell’Avvenire (sostituito un anno fa dalla Cei) non ha nascosto in questi mesi di sognare un futuro in politica. Ne ha discusso sia con il grillino Conte che con Michele Santoro, entrambi pronti a candidarlo per la totale sintonia sulla linea anti-Ucraina e contro il cosiddetto «conformismo bellico», ossia la linea filo-occidentale contro la satrapia aggressiva di Putin. Ieri l’ex direttore si offriva senza molti veli al corteggiamento del Pd, che senz’altro offre maggiori garanzie di elezione degli altri due Proci: «Ho ricevuto diverse proposte ma ne sto valutando una sola perché non sono all’asta». Elly lo vuole, perché pensa possa darle garanzie future in Vaticano, sulla via di Palazzo Chigi. Tutto il Pd filo-ucraino, atlantista e europeista è contrarissimo, come hanno esplicitato Guerini e Lia Quartapelle.
Ma il problema di Schlein è che a rivoltarsi contro Tarquinio è l’ala pro-Lgbt dello schleinismo, Zan in testa. Non per le sorti di Kyiv e del mondo, su cui si può sorvolare, ma per la sua contrarietà al matrimonio gay.
Questione di priorità.