«Candidiamo Ilaria Salis? Ma che stiamo diventando, Potere Al Popolo?». Nelle chat dei parlamentari Pd, ieri mattina, si era scatenato il putiferio: «Vogliamo fare i radicali? Ma ricordiamoci che la Salis non è Tortora. E del resto neanche Elly è Pannella».
Già i nervi sono a fior di pelle per la partita delle liste europee, che Elly Schlein vuol gestire di testa sua. Ma a far traboccare il vaso dell’indignazione interna è stata la notizia, sparata ieri da Repubblica, di un’istruttoria in corso al Nazareno sulla possibilità di candidare l’attivista di estrema sinistra detenuta (in condizioni obbrobriose) a Budapest e sotto processo in Ungheria.
Metterla in lista (del resto è donna e pure «esterna» al Pd, quindi rientra appieno nei criteri indicati da Schlein per i capolista) e farla eleggere a Strasburgo le garantirebbe la liberazione e l’immunità parlamentare, e creerebbe un caso di «grandissima visibilità e impatto umanitario», come ha argomentato Alessandro Zan, uno dei principali sponsor dell’operazione.
Schlein ne ha parlato solo con il suo giro più stretto, per sondare la fattibilità e la convenienza politica della cosa, anche perché, spiega uno dei partecipanti, «se non lo facciamo noi lo fanno i rossoverdi o Santoro». Qualcuno lo ha raccontato in giro (Schlein ha fatto filtrare di esserne molto seccata) e il caso è esploso nel Pd. «Niente è deciso», assicurano nel Pd. «Mi pare solo una boutade», un alto dirigente di area riformista. Però c’è chi fa notare che nessuno, dal Nazareno, ha smentito l’indiscrezione.
Ma non è solo il caso Salis a far alzare la pressione interna al Pd: c’è anche il caso Tarquinio. Anzi, qualcuno sospetta che il can can sulla Salis serva proprio a far passare in modo indolore una candidatura in aperto contrasto con la collocazione internazionale fin qui tenuta, sia pur con sbandamenti e mal di pancia, dal Pd di Schlein. Il giornalista ex Avvenire, ruiniano doc (peraltro fieramente contrario a ogni posizione pro-gay o pro aborto legale del Pd) è sponsorizzato da Sant’Egidio per le sue posizioni «pacifiste», che chiedono in pratica la resa totale dell’Ucraina a Putin. Tanto che era in predicato per una candidatura nei Cinque Stelle di Conte, in perfetta sintonia con la linea anti-Kiev. Ma Schlein si è messa in testa di contenderlo a ogni costo al rivale grillino, e di offrirgli un seggio garantito, anche come capolista al Centro. Ieri la ex responsabile Esteri del Pd, Lia Quartapelle, ha espresso un giudizio politico durissimo su questa ipotesi: «Il Pd si è sempre schierato a sostegno di Kiev, votando per l’invio delle armi. Nel manifesto elettorale del Pse, il partito europeo di cui facciamo parte, è scandito con chiarezza che non lo faremo mancare. Se si vuole imporre un cambiamento di rotta politica, lo si faccia apertamente, con una discussione esplicita negli organismi di partito deputati, non con le candidature». Una forte obiezione già espressa anche dall’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini alla segretaria: «Ho interesse non a metter veti ma a far sì che il Pd abbia una linea chiara e intellegibile sull’Ucraina, che in questa fase è la questione delle questioni, e non ammette spazi di ambiguità». Intanto però sono scesi in campo i laudatores di Tarquinio, da Goffredo Bettini («Recepiamo gli insegnamenti del Papa», tipo alzare subito bandiera bianca se invasi) a Andrea Orlando («Grande contributo alla pace»). Anche se i maligni, nel Pd, attribuiscono questi entusiasmi bettinian-orlandiani per il ruiniano Tarquinio a un obiettivo assai meno alto della pace nel mondo: la sua candidatura al centro toglierebbe voti ad altri. Innanzitutto al laziale Zingaretti e al sindaco di Firenze Nardella.
Infatti si oppone fieramente il governatore toscano Giani, che invia un messaggio a Schlein: se proprio tieni tanto a questo Tarquinio, piazzalo altrove: «Qui abbiamo già molte candidature positive».