Il tono delle dichiarazioni ufficiali, così come quello della propaganda, sembra ormai sfiorare in Russia i confini della paranoia. Sfidando talvolta il senso di realtà l’attentato al Crocus City Hall viene spiegato con un elaborato complotto che viene attribuito ai servizi segreti ucraini in combutta (o dietro ispirazione) della Cia e del Servizio Segreto inglese.
Le falle nella sicurezza interna vengono dimenticate e l’attacco utilizzato dal Cremlino per mobilitare l’opinione pubblica contro un Occidente accusato di rappresentare ormai una minaccia esistenziale per i cittadini ex sovietici.
Mai la retorica bellica è apparsa così violenta e pericolosa. Eppure non mancano le opinioni di analisti che invitano a considerare anche le ragioni oggettive che ostacolano un allargamento del conflitto. Dai limiti dell’esercito alla tradizionale dottrina russa, mai messa in discussione, sull’uso delle armi nucleari, la strada verso l’escalation è, per il momento, ancora da percorrere.
1. SOLDATI: Troppi caduti, altri 350 mila da reclutare: pochi per la Nato
La guerra sembra di recente aver dato qualche soddisfazione ai vertici russi. Ma le continua battaglie d’attrito hanno avuto un costo enorme in termini di perdite umane. I morti sarebbero dall’inizio delle operazioni oltre 120mila, i feriti di un terzo più alti. Per il post-elezioni in molti prevedono una nuova mobilitazione in grado di portare al fronte altre 350mila soldati.
Ma secondo Andrew Illico, analista britannico che ne ha scritto sul Daily Telegraph, un conflitto con la Nato richiederebbe la mobilitazione effettiva di 1,2 milioni di persone a cui si opporrebbero le forze armate dei Paesi dell’Alleanza. Solo quelle dei Paesi dell’Unione Europea si situano tra 1,3 e 1,4 milioni di soldati. Si dice spesso che Putin ha un grande vantaggio rispetto ai suoi colleghi occidentali: quello di non dover tener conto dell’opinione pubblica interna e di poter trattare le sue truppe come semplice carne da cannone.
È vero, ma fino a un certo punto: è noto che gli strateghi politici del Cremlino usano tecniche sofisticate per misurare mood e atteggiamenti della popolazione. La propaganda è importante ma non tutto e l’umore di un popolo può cambiare alla svelta.
2. FINANZE: L’economia di guerra regge. Però i consumi sono a rischio
Strettamente legato al tema della risorse belliche è quello dell’economia. Per il momento l’andamento produttivo ha sfidato tutte le previsioni degli esperti: non solo il Paese non è crollato ma ha fatto segnare una crescita legata al potenziamento dell’industria bellica.
Nel suo ultimo discorso, a fine febbraio, Putin ha sottolineato la necessità di proseguire il cammino verso la creazione di una vera e propria economia di guerra. Allo stesso tempo, però, ha garantito alla popolazione il mantenimento dell’attuale tenore di vita. Secondo il think tank americano «Institute for the study of war» una cifra di poco inferiore al 40% del bilancio pubblico è dedicata a finanziare il conflitto ucraino.
Fino al 2025, secondo The Bell, rivista economica russa (pubblicata all’estero) l’investimento è finanziabile, poi potrebbero nascere i problemi. Putin ha fatto più volte riferimento alla necessità di evitare la trappola in cui è caduta l’Urss di Leonid Breznev, che per sostenere la corsa alle armi con gli Usa, dovette trascurare il sostegno ai consumi della popolazione. È evidente che lo ritiene un pericolo concreto. Bisognerà vedere se riuscirà ad evitarlo.
3. ARMI ATOMICHE: Rappresaglia o reazione? Il nucelare resta solo un’ipotesi
Poche settimane fa il Financial Times ha pubblicato una serie di documenti segreti che illustravano i requisiti per l’utilizzo delle forze nucleari secondo la Russia. Si tratta di materiale che risale agli anni tra il 2008 e il 2014, ma che viene ritenuto ancora attuale dagli esperti. A essere considerate erano le bombe tattiche, quelle di minor portata e potenza, utilizzabili sul teatro europeo (a differenza di quelle strategiche il cui utilizzo è di fatto limitato a uno scenario di confronto globale Usa-Russia).
Più volte Putin, nei discorsi dall’inizio del conflitto ucraino ha fatto riferimento all’arsenale tattico russo di gran lunga più potente di quello occidentale. Più volte si è, però, anche richiamato alla cosiddetta e tradizionale «dottrina» nucleare russa, dicendo che la considerava ancora attuale.
Secondo questa «dottrina», una sorta di manuale d’uso per l’arma nucleare, la Russia riconosce due soglie di utilizzo per le bombe atomiche: come forma di rappresaglia per un «primo attacco» occidentale, e come reazione «se la stessa esistenza della Russia come Stato sarà minacciato anche con l’uso di armi convenzionali». Fortunatamente i due casi sembrano lontani.
4. CINA: Il fattore C: le perpelssità di Pechino sul conflitto
Alla vigilia del conflitto in Ucraina, in una vertice tra Russia e Cina, Vladimir Putin e Xi Jinping dichiararono che l’amicizia tra i due Paesi era «senza limiti». Poi, scoppiata la guerra, non si è mai riusciti a capire esattamente fino a che punto l’autocrate del Cremlino avesse anticipato al collega le sue intenzioni. L’impressione è che i cinesi non se l’aspettassero fino in fondo: oggi come allora, un allargamento delle ostilità difficilmente potrebbe trovare entusiasmo dalle parti di Pechino.
La Cina, a differenza della Russia, è un esempio da manuale di inserimento nelle catene di valore dell’economia globale. Un guerra totale sarebbe una zeppa negli ingranaggi produttivi del grande Paese asiatico. E anche la collaborazione tra le due potenze (mai formalizzata in una vera e propria alleanza) appare più superficiale e di convenienza di quanto potrebbe sembrare.
I cinesi hanno sostituito gli occidentali in molti rapporti d’affari (per esempio conquistando il mercato automobilistico) ma senza fare sconti e, anzi, approfittando non poco della posizione negoziale, oggettivamente indebolita, del grande vicino russo.
5. SOCIETÁ CIVILE: I falchi spingono. Le élite e gli oligarchi “tifano” tregua
A parole i vertici russi sono impegnati in una battaglia di civiltà contro l’Occidente collettivo: da una parte fede, popolo e tradizione, dall’altra immoralità e corruzione dei costumi. Le cose però non sono mai semplici. Il fatto è che, come qualcuno ha detto, «i potenti russi predicano come monaci ortodossi, ma poi vivono come fossero tutti Abramovich».
Il riferimento è allo stile di vita del supermiliardario ex padrone del Chelsea, famoso per le dimore e gli yacht sparsi in mezzo mondo. Allo stesso Putin, tra vigneti sul Mar Nero e palazzi costruiti da architetti italiani, la «dolce vita» non dispiace. E soprattutto non dispiace ad oligarchi, funzionari pubblici e giornalisti che con la guerra hanno perso l’accesso alle loro ville super pagate tra la Costa Azzurra e la Sardegna. In molti rimpiangono i bei tempi andati.
È vero che questa è l’ora dei «falchi», sobri e severi anche nelle abitudini private. Ma tra le pieghe dell’élite si nascondono i potenti che preferirebbero ricucire i rapporti e riscoprire le vecchie abitudini.
Anche per loro meglio una pace così così, che una guerra totale con gli amici di un tempo.