Oleg Gitalchuk è il primario del reparto di terapia intensiva dell’ospedale Regionale di Odessa. Ieri, assieme alla sua equipe di medici e infermieri, è riuscito a mettere in salvo almeno 15 persone. Il terribile attacco russo della notte ha mandato infatti in tilt le linee elettriche e le apparecchiature che tengono in vita le funzioni respiratorie e cardiocircolatorie dei pazienti. «Lavoriamo in circostanze sempre più precarie – racconta – i generatori a gas sono stati indispensabili, ma non possiamo sfidare la sorte all’infinito. Qualcuno dovrebbe scrivere che non si muore soltanto sul campo di battaglia. Nessuno tiene il conto delle vittime negli ospedali».
Frammenti di vicende umane raccolte in una delle giornate più difficili per l’Ucraina dall’inizio delle ostilità. Questa volta la contraerea di Kiev ha potuto fare ben poco contro l’orso russo. La pioggia di missili ipersonici Khinzal, di S-300 e Iskander che ieri si è abbattuta alle 5.30 di mattina, soprattutto sulle regioni meridionali dell’Ucraina, ha «spento» il Paese, bloccato la macchina militare e ucciso almeno 9 civili.
È stato il più grande attacco alle strutture energetiche e logistiche dall’inizio dell’Operazione Speciale, e buona parte dell’Ucraina è rimasta al buio e senz’acqua. I raid hanno interessato le regioni di Kharkiv (ancora al buio), Odessa (nuovamente bombardata in serata con Iskander), Kirovohrad, Sumy, Dnipropetrovsk, Poltava e Zaporizhzhia, e colpito il cuore pulsante della fornitura di corrente elettrica. «Abbiamo vissuto una notte difficile – racconta il ministro per l’Energia Galushchenko – milioni di persone sono rimaste senza corrente. Ci stanno sostenendo Polonia, Slovacchia e Romania, ma ci vorrà ancora tempo per tornare alla normalità». Per il ministro della Difesa russo Shoigu si è trattata «di una rappresaglia ai bombardamenti e ai tentativi di infiltrazione delle forze ucraine a Belgorod e Tusk. Siamo riusciti ad annientare 151 tra centri di comando, infrastrutture aeroportuali, depositi di droni aerei e marini, basi logistiche e centri di raccolta di forze speciali e di mercenari». Con i bombardamenti di ieri, Mosca ha disarticolato il funzionamento delle industrie che producono e riparano armamenti, danneggiato le forniture provenienti dai Paesi della Nato, e tagliato il rifornimento di attrezzature vitali verso la linea del fronte. Anche i danni collaterali sono notevoli: gli 8 missili caduti sulla centrale idroelettrica del fiume Dnipro (vitale per il polo nucleare di Zaporizhzhia), hanno provocato una contaminazione del suolo e riversamento di petrolio nelle acque. Un missile russo ha colpito un filobus pieno di operai che attraversava la diga, decine di persone sono rimaste ferite.
Per Mosca insomma si è trattata di una rappresaglia, ma il governo di Kiev, per voce della vice premier Stefanishyna, ribadisce che «le raffinerie russe continueranno a essere obiettivi legittimi. Combattiamo con le risorse che abbiamo». Parole indirizzate anche a quegli Stati Uniti che avrebbero esortato nei giorni scorsi Zelensky a non attaccare le raffinerie di petrolio russe, temendo un aumento dei prezzi dell’energia e a un’escalation maggiore.
La guerra è anche una questione di numeri, spesso inesatti o dettati da voci più o meno affidabili. Secondo i media anti-Putin, la Russia avrebbe in programma il reclutamento di altri 300mila soldati per una nuova offensiva su Kharkiv.
Il comandante di terra delle forze armate ucraine Pavlyuk lo esclude, ma riferisce che Mosca starebbe preparando 100mila soldati per lanciare una nuova offensiva in estate nel Donbass.